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Merkel impallina i socialdemocratici con il proiettile Grecia

Il voto è quello tedesco del 22 settembre, ma i meccanismi di fondo restano identici a quelli italiani. Accaparrarsi ogni merito, e addossare agli altri ogni colpa. Strategia in cui la cancelliera Angela Merkel sembra muoversi bene.

Se i grattacapi tedeschi rimangono l’eurozona barcollante e la prospettiva di nuovi aiuti alla Grecia, il diktat è negare ogni concessione e puntare il dito contro gli ex leader, colpevoli di aver permesso l’ingresso nell’eurozona di Atene. E il tempismo risulta ben studiato, se si considera il panico siriano che coinvolge anche le piazze europee e gli sgambetti delle agenzie di rating.

I rischi per l’eurozona secondo Moody’s

I segnali di ripresa nelle economie deboli dell’Eurozona infatti non convincono Moody’s. Tanto che l’agenzia non si aspetta un ritorno a una crescita sui livelli pre-crisi prima del 2016-2017, e avverte che ciò avverrà “solo in alcuni casi”. La doccia fredda di Moody’s sulla ripresa arriva di pari passo con la decisione dei suoi analisti di mantenere la prospettiva “negativa” sui rating assegnati a Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia e Cipro, le economie più indebitate che rischiano un downgrade che in alcuni casi, come la Spagna, potrebbe portare il giudizio sul debito sovrano a livello “spazzatura” in un colpo solo.

Progressi significativi ma insufficienti…

Il “progresso significativo” fatto da questi governi “periferici” nell’affrontare i rispettivi problemi, scrive Moody’s, è stato necessario ma insufficiente “per una ripresa della crescita sostenibile e, in definitiva, per un ritorno alla normalità nei mercati finanziari e del debito sovrano dell’Eurozona”. Parole che smorzano gli entusiasmi per la prospettiva di un’uscita dei diciassette dalla recessione, trainati dalla Germania. A rincuorare erano stati i dati sulla fiducia delle imprese tedesche, balzata ai massimi di 16 mesi superando le previsioni (l’indice ha raggiunto quota 107,5), e il balzo del Pil (+0,7% nel secondo trimestre). Ma i Paesi della ‘sponda Sud’ dell’euro, fa notare Moody’s, soffrono di un insieme di squilibri fiscali da risanare a costo della crescita e di una cronica mancanza di competitività. Mancando la leva della svalutazione, la ripresa richiederà molto di più rispetto a economie come quella statunitense o inglese.

Nuovi aiuti alla Grecia?

Una prospettiva, quella di ulteriori tagli del rating dei ‘Piigs’, che rischia di far saltare i conti già precari sui quali si basano le proiezioni di bilancio. Un problema in particolare per la Grecia, al centro di un dibattito pre-elettorale in Germania: il ministro Wolfgang Schäuble, così come la Bundesbank di Jens Weidmann, ha riconosciuto che ad Atene servirà un nuovo salvataggio, quantificato in circa 11 miliardi e da stabilire nel 2014. Ma l’affermazione sembra uscire dalla bocca di chi tira il sasso e nasconde la mano. “Mai più salvataggi come quello della Grecia – ha promesso Schäuble – se la coalizione che regge la cancelliera Angela Merkel vincerà le elezioni di settembre”. Un’Europa più forte, ha detto Schäuble in un’intervista alla Cnn, significa che “ciascuno deve fare la propria parte e non chiedere soldi agli altri, che è il modo sbagliato di intendere un’Europa più forte, è l’incentivo sbagliato”.

Niente sconti ad Atene

Anche la cancelliera Merkel è stata costretta a escludere ogni ipotesi di un nuovo ‘sconto’ sul debito greco, proprio quando Atene, attraverso il ministro delle Finanze Yannis Stournaras, piuttosto che un terzo prestito ipotizza una rinegoziazione dei meccanismi di salvataggio già concessi, abbassando gli interessi da pagare e allungando le scadenze per dare più ossigeno all’economia.

Le accuse a Steinbruck

Non solo. Alle strette sulle prossime mosse, a Berlino si guarda ai passi falsi del passato. Merkel, sottolinea Bloomberg, ha cercato di addossare le colpe della debolezza dell’eurozona al suo predecessore socialdemocratico Gerhard Schröder, sostenendo che non avrebbe mai dovuto far entrare la Grecia nell’euro. “Il cancelliere Schroeder ha accettato l’ingresso di Atene e e ha indebolito il Patto di Stabilità, due decisioni sbagliatissime, e punti di partenza della crisi attuale”, ha sottolineato la cancelliera, con una mossa con cui punta a scrollarsi di dosso le accuse del suo sfidante socialdemocratico Peer Steinbruck.

I vincitori secondo i sondaggi

E Frau Merkel sembra riuscirci, se si considera che il supporto per la coalizione cristiana-democratica è cresciuto di un punto al 39% secondo un sondaggio condotto da Insa per Bild, mentre quella democratica partner ha guadagnato il 6%. In calo invece lo schieramento Spd di Steinbruck e i suoi alleati Verdi, entrambi crollati di un punto rispettivamente al 25% e al 14%. Lo sfidante Spd della cancelliera, e ministro delle Finanze durante il primo mandato di Merkel, vuole mettere fine alla politica del “risparmio, risparmio, risparmio” merkeliana, premendo affinché i fondi strutturali e di coesione europei siano concentrati sui Paesi del Mediterraneo, secondo i meccanismi previsti dal Financial Transaction Tax usato per crear una sorta di “Piano Marshall 2.0“.

Nessun cambio di rotta nella linea tedesca

La probabilità che Merkel resti al potere è passata al 55% dal 50 secondo Holger Schmieding, capo economista di Berenberg Bank a Londra, mentre l’ipotesi di una grande coalizione scende al 25% dal 30. “Qualunque sia il risultato, crediamo che il voto del 22 settembre non cambierà molto le politiche tedesche in Europa. La Germania aiuta i partner europei, ma sempre alle sue condizioni”, ha osservato. Chi vincerà non farà che riflettere la volontà di un elettorato conscio del suo ruolo nell’eurozona e di quali possano essere le mosse più fruttuose per Berlino. A prescindere dalla Merkel di turno.


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