Skip to main content

Chi è il principe saudita che spinge Washington ad attaccare la Siria

C’è il principe Bandar bin Sultan al Saud dietro la proposta di accordo segreto presentata alla Russia per spartirsi il controllo del mercato petrolifero globale a patto che Mosca ritiri il suo sostegno al presidente siriano Bashar al Assad.

Il capo dell’intelligence saudita è considerato l’eminenza grigia di Riad a Washington. Per due decenni, scrive il Wall Street Journal, come ambasciatore a Washington, il principe è stato uno dei personaggi più influenti nella capitale statunitense. Tanto da guadagnarsi il soprannome di Bandar Bush per i legami con la famiglia dell’ex presidente repubblicano.

Per il quotidiano di Murdoch il principe può ciò che la Cia non può ora fare nel mondo arabo: procurare armi e soldi. L’obiettivo è un nodo fondamentale della politica estera saudita, ossia togliere di mezzo Assad e i suoi principali alleati, l’Iran ed Hezbollah.
Il conflitto siriano è diventato un conflitto per procura e “gli sforzi dell’Arabia Saudita in Siria sono un segnale della volontà più ampia di espandere la propria influenza nella regione”, scrive il WSJ, sforzi emersi anche con il sostegno dato all’esercito egiziano per deporre il presidente islamico Mohamed Morsi e reprimere la Fratellanza Musulmana.

Riad punta a rafforzare i ribelli che da due anni combattono per deporre Assad, così da portare avanti quella che chiama la “strategia meridionale” e comprende le aree a est e sud della capitale siriana Damasco. Parte della strategia consiste nell’addestrare i miliziani, assieme a statunitensi e giordani.

All’interno dell’amministrazione Obama non tutti si sentono però a loro agio con la relazione che lega gli Stati Uniti ai sauditi sulla questione siriana, continua il quotidiano. Il rischio è che la situazione sfugga di mano.

Uno dei rischi principali è che alla fine si armino gruppi islamisti anti-occidentali, spiega una fonte. In teoria si stanno già separando i moderati dagli estremisti, ma non è escluso che qualche saudita abbia finanziato e armato, o lo faccia in futuro, gruppi radicali da opporre ad altri gruppi sostenuti dal Qatar.
Entrambi i Paesi del Golfo vogliono deporre Assad. Doha si è mossa prima. Un pieno coinvolgimento saudita si è avuto soltanto in uno secondo momento, spingendo per armare i ribelli e lavorando con il Qatar in un centro di comando in Turchia per comprare e distribuire le armi. Ma le tensioni si sono fatte più forti per il sospetto saudita che qatarioti e turchi stessero armando la Fratellanza Musulmana siriana. Riad, spiega ancora il WSJ, è inoltre restia a dividere il controllo della situazione con Doha. Il Qatar “non è che 300 persone e una televisione” pare abbia detto il principe con un riferimento ad Al Jazeera.
Per un funzionario dell’intelligence Usa i Sauditi sono “un partner indispensabile in Siria”. L’influenza finanziaria che esercita sulla Giordania ha inoltre contribuito a portare anche Amman dalla proprio parte. Nell’inverno dell’anno passato i sauditi hanno inoltre cercato di convincere i governi occidentali che la linea rossa posta da Obana, l’uso delle armi chimiche, era stata superata. Mentre continuavano i contatti prima con la Cia a guida Petraeus e ora con Brennan.

L’ultimo messaggio di primo piano a Obama è stato metterlo in guardia dalla perdita di credibilità per gli Usa se Assad e l’Iran dovessero prevalere. Intanto il principe continua la sua attività e tesse contatti, da Mosca a Parigi a Washington.



×

Iscriviti alla newsletter