Negli anni passati una buona parte del Paese ha condiviso la scelta interventista nei principali conflitti mondiali. Dopo decenni di politica estera prudente, marginale e, forse opportunista le scelte dei governi D’Alema e Berlusconi hanno riportato l’Italia al suo ruolo di partner dell’Alleanza Atlantica e di, al tempo, quinta potenza mondiale.
Certo sono state scelte che oggi si possono ancora analizzare, discutere anche con un quadro di informazioni più completo ed approfondito, ma è certo che la nostra partecipazione aveva rafforzato l’immagine del nostro Paese anche per le capacità e le sensibilità che le nostre Forze Armate dimostrano sul campo ancor oggi.
L’episodio libico obbiettivamente ha suscitato non poche perplessità: la Libia era nostro partner commerciale ed industriale, avevamo spinto fortemente per lo sdoganamento internazionale del colonnello Gheddafi, l’azione dei francesi è stata assolutamente unilaterale, e noi gli abbiamo corso dietro! Ora si pone la questione siriana, in un modo ancora più controverso.
Siamo di fronte, qui come negli altri Paesi interessati da fenomeni di transizione e tensione politica di quell’area, a uno scontro fra componenti e Paesi del mondo islamico per la supremazia territoriale, energetica, economica e politica che si veste e strumentalizza problematiche religiose, etniche, storiche.
Valutare con chi stare è complesso poiché non si tratta solo di giudicare la situazione da un punto di vista etico (molto spesso strumentalizzato anche da noi) quanto di valutare gli aspetti strategici, politici, economici dell’agire occidentale. Se a ciò si aggiunge la scarsa omogeneità delle stesse posizioni occidentali, i tentativi egemonici di alcuni Paesi, l’incapacità oggi imbarazzante della politica estera europea di esprimere una posizione unitaria ed autorevole, le volontà neocolonialiste di Francia e UK che ambiscono a riacquistare spazio in quei Paesi ne emerge un quadro poco rassicurante.
In questo scenario la posizione statunitense è sinceramente difficile. Sconta una debolezza nella politica estera che ha caratterizzato tutta la gestione presidenziale di Barack Obama, una apparente mancanza di visione dell’evolversi della situazione medio orientale e nordafricana che ha comportato assenze e ritardi nella strategia e nella tattica di quella che era ed è ancora la prima potenza mondiale.
Ne è conseguito uno spazio vuoto dove si sono consolidate le posizioni di altri Paesi, Cina prima di tutti. In Siria l’appoggio ai ribelli è stato solo verbale e si è dato il tempo di far infiltrare al-Qaeda ed altri gruppi terroristici fra le file degli oppositori al regime siriano che nel frattempo ritornava nell’alveo dell’alleanza con la Russia , con l’appoggio della Cina.
Ed ora? Come intervenire in una situazione che appare così compromessa? A cosa serviranno azioni missilistiche di tre giorni?
Quindi i dubbi oggi sono più che legittimi e molto bene hanno fatto il Ministro della Difesa Mario Mauro ed il Ministro degli Esteri Emma Bonino a tracciare con chiarezza inusuale i contorni ed i contenuti dello scenario che abbiamo di fronte. In particolare il Ministro Bonino ha saputo affrontare e spiegare la situazione efficacemente.
Questo non significa che l’eventuale azione militare non ci vedrà mai partecipi, è un’opzione dolorosa ma talvolta indispensabile. Proprio perché importante va decisa con cognizione di causa, con il massimo delle informazioni possibili, con un quadro di riferimento geopolitico e strategico che al momento non è ancora chiaro.
Umberto Malusà
ISC, Integrated Strategy Consulting