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Crisi in Siria: guerra sì, guerra no?

Pensavo di occuparmi prevalentemente delle elezioni in Germania invece il precipitare della situazione in Siria mi obbliga a deviare dai miei intenti iniziali.

Ho letto numerosi articoli, comunicati stampa, annunci ufficiali pro-scontro da parte di USA, Gran Bretagna, ONU, Germania e Francia e annunci ufficiali contro-scontro, da parte di Russia, Cina e Iran. L’Italia si colloca sempre nel mezzo, nell’area degli ignavi: aspettiamo cosa decidono gli uni e gli altri, poi ci schieriamo.

Ho letto anche articoli su blog che denunciano l’intorpidimento delle menti di noi occidentali davanti a un’evidente montatura operata dagli Stati Uniti contro Assad e la Siria. Le armi chimiche sarebbero dunque, per chi scrive in tal senso, un’invenzione da parte degli USA, oppure addirittura un crimine commesso dall’occidente attraverso i ribelli che volevano incolpare Assad.

Ci sono sempre posizioni contrapposte su temi di questo tipo, nel caso siriano abbiamo i “complottisti” da un lato, ossia coloro che sostengono (senza prove) che l’occidente capeggiato dagli Stati Uniti abbia organizzato tutto questo caos in Siria per rovesciare Assad e per egemonizzare una zona strategica per una futura (e reale obiettivo) guerra contro l’Iran; e gli “interventisti” ossia coloro che a prescindere dalla valutazione dei fatti vogliono questa guerra, che non vogliono chiamare così, perché almeno non si dà l’idea di essere dalla parte del torto.

I complottisti sono radicalmente schierati contro l’occidente, pur facendone parte. Sono vittime, secondo me, delle manie persecutorie di cui era affetto anche Stalin. Vedono minacce, inganni e tradimenti ovunque, non c’è un posto sicuro al mondo, per i complottisti c’è sempre un individuo, un gruppo, un’istituzione o un’entità indefinita che passa il suo tempo a tramare e creare disordini, per scopi di altra natura. Poco importa che il regime di Assad (che non è un sant’uomo, ma un despota) abbia negli ultimi tre anni, come repressione delle proteste iniziali delle piazze da parte del popolo siriano, fatto una strage dopo l’altra, ammazzando donne, bambini, vecchi e uomini senza distinzione alcuna.

Un popolo si ribella, ovviamente non il 100% degli abitanti, ma una componente sufficientemente ampia da creare disordine e destabilizzare lo status quo e un dittatore cosa fa? Manda l’esercito a sedare le rivolte e le schiaccia. In questa battaglia va da sé che Assad sia il più forte. Ha denaro, armi, e dispone di uomini fedeli oltre che dell’appoggio di qualche governo vicino molto potente e molto temuto (Iran). I ribelli hanno qualche opportunità da soli? Evidentemente no. L’occidente cosa fa? L’occidente sceglie o di intervenire direttamente o indirettamente, non può non agire, poiché le sorti politiche e militari di una zona come quella della Siria sono connesse alla sicurezza futura dell’occidente stesso. E cosa dovrebbe fare l’occidente? Non pensare al proprio futuro o al futuro della gente che sta da questo lato della barricata? Ovviamente no.  

Gli intrecci d’interessi economici, politici e militari sono troppo forti e vedendo regimi contrapposti per ideologia come USA e Iran, è naturale che gli uni e gli altri non vogliano demordere e cerchino di prevalere. Gli USA hanno sfruttato, come evidenziato dal sociologo bielorusso Evgeny Morozov, internet e i social media come nuova “arma”. Hanno politicizzato la rete, trasformato i blogger in dissidenti e alimentato, non possiamo negarlo, timori e dubbi proprio sull’uso “obiettivo” di queste nuove tecnologie. Il clima generale è di ostilità e diffidenza, non del tutto ingiustificato. Hanno sfruttato i movimenti digitali anche per colpire i regimi come quello dell’Iran dimenticando che questi mezzi potevano essere a loro volta utilizzati da questi regimi per contrattaccare. E così è stato. Le immagini, i video, le informazioni che arrivano dalla Siria ci offrono un quadro disarmante, credere in automatico a queste oscenità non è facile, oggi. Ma ci sono le testimonianze delle ong, di Human Rights Watch (hrw) e di Medici senza frontiere (msf), e dunque anche a loro vogliamo non credere? Anche loro sono strumenti della politica espansionista occidentale oppure no?

Dall’altra parte della barricata ci sono gli interventisti. A loro non interessa capire se Assad ha veramente torturato, bombardato e trucidato il suo popolo, a loro interessa solo rovesciarlo il prima possibile e impossessarsi di quella zona per elaborare i piani successivi di espansione. Dopo il controllo della Siria, Iraq e Afghanistan sarebbe il turno dell’Iran e a quel punto l’intera area che è considerata il centro caldo del mondo, diventerebbe nuova colonia dell’occidente e dunque sicurezza per noi e nuova schiavitù per loro (forse).

Nessun Paese occidentale muove guerra a un altro Paese per motivi umanitari, gli interessi sono politici ed economici. Non si bombarda una città per preservare la vita, lo si fa per spezzare una resistenza e per mettere fuori gioco un regime che ci è ostile e antipatico.

Credo che ciascuno di noi sia perfettamente consapevole che la situazione è questa. Oscilliamo tra un estremo e l’altro, parliamo e sbraitiamo di complotti e di piani di guerra nella nostra comoda vita occidentale, seduti comodamente dietro ad una scrivania o magari twittando disappunto, vergogna e disgusto per ciò che accade, direttamente dallo sdraio su cui siamo serenamente adagiati sotto al sole, su una bella spiaggetta e sorseggiando un cocktail con un ombrellino e un’oliva.

Da un lato e dall’altro si dimentica di fare i conti con la realtà. Guerra sì, guerra no? La guerra c’è già e i risultati degli ultimi tre anni ci consegnano un quadro generale terrificante. Sono 7000 i bambini uccisi dall’inizio dei disordini, e poco importa chi è stato ad uccidere, sono morti. Sono 1 milione i bambini in fuga verso i paesi confinanti, un milione di giovani vite smarrite che gridano aiuto, e che noi ignoriamo persi nel dibattito inutile tra chi cerca di trovare un complotto da un lato e che vuole spazzare via i nemici senza tante storie dall’altro. In questi discorsi tranquillamente occidentali, di borghesi e cyber-intellettuali, si perde di vista il vero problema: il popolo siriano soffre e tra il tanto frastuono dei media, pro o contro, ce lo stiamo dimenticando.

La pace non viene regalata da nessuno. La pace spesso è un pretesto per fare una guerra, specie se è l’occidente a usarla. Gli errori del passato (denunciare l’uso di armi chimiche quando le verifiche poi lo hanno smentito) però, non dovrebbero impedirci di ragionare seriamente sulla pace e su ciò che è adeguato fare per raggiungerla. La guerra non è la soluzione percorribile se si vuole ottenere la pace. La stabilità e la tranquillità occidentale sono obiettivi che per quanto possono essere spacciati per “pace” sono altro, sono appunto obiettivi dell’occidente. Si potrebbe dire che l’obiettivo è portare in quei posti idee diverse sulla libertà, sui diritti e su tante altre cose, ossia un modello occidentale di umanità. Questo non è lecito e non è per la pace, se l’idea di diffondere la democrazia e la cultura dei diritti umani si applica a un piano militaresco di “esportazione della democrazia”, come è stato nell’era Bush (e non solo).

C’è però un problema di metodo e di sostanza: se non si deve esportare la democrazia attraverso interventi diretti o indiretti, l’occidente deve stare a guardare e non fare niente? Una volta appurato che c’è stato l’uso da parte di Assad delle armi chimiche (che la comunità internazionale ha detto essere non accettabili, mentre una cannonata o un missiletto sì) l’occidente e la comunità internazionale cosa deve fare? Non agire? Ovviamente no, dato che la Comunità Internazionale raccoglie un gran numero di Stati (ma non tutti) e dato che le scelte vengono prese dai componenti, dovremmo aspettarci un’azione coerente con le scelte della Comunità Internazionale. Nel bene e nel male.

Ad Assad interessa un tavolo di discussione per la pace? Non credo, ad Assad interessa mantenere il potere e il dominio sulla Siria. Ai ribelli? Non credo, a loro interessa liberarsi del regime di Assad, e molti di loro non lo fanno, forse, per un afflato umanitario, poiché molti di loro magari sono ex fedeli di Assad che vogliono loro stessi potere. I Paesi occidentali vogliono un tavolo per la pace? Non credo, perché dopo tre anni che stanno a guardare senza dire e fare niente di concreto, per la pace, l’interesse non si è improvvisamente risvegliato, vogliono chiudere questo capitolo rapidamente e togliere Assad di mezzo, e instaurare una democrazia in stile occidentale, perché è negli interessi dell’occidente che sia così. Russia e Cina vogliono la pace? Non credo, il loro obiettivo è di tenere separate le aree d’interesse e di egemonia, così che l’USA non s’impicci assieme all’UE, negli “affari orientali”.

Il popolo siriano vuole la pace? Sì, la grida. Poiché sono loro le vittime di questa guerra interna che ora si appresta a essere anche internazionale. Sulla pelle dei siriani, dopo tutti questi anni, si sta per giocare ancora una volta una partita che niente ha a che fare con la pace e niente ha a che fare con la tutela dei diritti umani. Assad è un desposta che non ha scrupoli a schiacciare chi gli si oppone e credo che se questo regime cessasse di esistere non sarebbe così male, l’occidente cercherà di limitare le perdite civili (effetti collaterali, nel gergo di chi fa la guerra), ma non è per la vera volontà di tutelare i diritti di questa povera gente, no, è per prevalere e sopraffare l’avversario.

Gli interrogativi sono tanti: cosa fare? Da che parte ci schieriamo? Interveniamo o non interveniamo? Lasciamo che i ribelli facciano da soli senza il supporto esterno e dunque lasciamo che facciano la fine che tutti sappiamo? Restiamo a guardare la carneficina e ci limitiamo a commentare dal nostro comodo divanetto? Lasciamo che la retorica della democrazia di esportazione prevalga sul benessere della popolazione e sull’affermazione dei diritti umani e della libertà di un popolo?

L’occidente non può tacere, la comunità internazionale (con tutti i problemi, le lentezze e i difetti insiti nel diritto internazionale) deve trovare un accordo sul da farsi. Solo questo può legittimare un silenzio o un intervento, di cui l’intera comunità internazionale sarà co-responsabile.  

Questa scelta lascia insoddisfatti tutti, me compreso. L’accordo della comunità internazionale altro non è che un patto tra un piccolo gruppo di Stati potenti che impatta sulle sorti del resto del mondo. Quale debba essere l’accordo non posso immaginarlo. L’interesse prioritario per un intervento che si dice umanitario (cosa paradossale se poi è fatto con i missili e con le flotte) è la salvezza dei rifugiati e la tutela della popolazione civile. In questo caso specifico, come indicato dal direttore generale di UNICEF, Anthony Lake, l’emergenza umanitaria riguarda soprattutto i bambini. A me preme il futuro di queste persone e la possibilità, anche per i siriani, di riappropriarsi della loro vita, delle loro case, della loro terra e di potersi dare un governo democratico che non sia né vittima del despota Assad, né della finta carità dell’occidente.

Si dice che il fine giustifica i mezzi. Se questa guerra continua sicuramente ci saranno migliaia di morti in più, e molti altri sfollati. Se interviene l’occidente la situazione non cambierà, ci saranno morti e ci sarà un logoramento delle relazioni internazionale, ma se la comunità internazionale deciderà di intervenire, auguriamoci che lo faccia presto, con criterio e che questa guerra non sia un nuovo “Vietnam” come minacciato da Assad.



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