Il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, sa che risolto (più o meno) per ora il nodo dell’Imu, il suo vero banco di prova sarà la legge di stabilità; il parere del resto dei Ministri dell’Eurogruppo e dell’Ecofin sarà fondamentale per assicurare all’Italia quel po’ di flessibilità che, ormai anche i burocrati più ragionieristici e più occhialuti, ritengono essenziale per mettere in moto quella crescita senza la quale, dopo sette anni di recessione ed una perdita quasi del 12% del reddito nazionale, rischiamo di avvitarci in un pozzo senza fondo.
Sa di avere con sé il resto del Governo ma, dopo tanti anni di politica ‘pura’ ed una laurea in scienze politiche, ritiene essenziale qualche buona lettura economica sia per confrontarsi con i colleghi italiani sia per gli ancora più impegnativi incontri europei. Per non parlare dell’’ottobrata’ dell’assemblea annuale della Banca mondiale e del Fondo monetario.
Consigli di lettura dalla Banca centrale
A convincerlo sono stati i suoi amici alla Banca centrale europea (Bce) che gli hanno inviato un working paper (il No. 1556), peraltro ancora in corso di rifinitura prima della pubblicazione. Ne sono autori Stefan Huemer, Beatrice D. Scheubel e Florian Walch – tutti e tre in servizio presso l’ufficio studi Bce. Il lavoro propone un nuovo indice per misurare la ‘competitività delle istituzioni’ (Governo, Parlamento, autonomie locali, pubbliche amministrazione di ogni ordine e grado). La proposta giunge alla fine di un’analisi da cui si deduce che nell’area dell’euro quando meno competitive sono le istituzioni tanto meno competitive sono le imprese. In un contesto istituzionale poco competitivo (nelle classifiche l’Italia non ci fa una gran bella figura), le imprese o si siedono anche loro ad un tasso di equilibrio basso o se e vanno. Pare il quadro del Paese di questi anni che Letta ha conosciuto bene da Ministro del Commercio con l’Estero e dal Ministro delle Attività Produttive.
L’economista della disoccupazione
Cosa fare? Il Presidente del Consiglio si è rivolto a Phelps (non il noto atleta Michael, finito male per una storia di spinelli, ma il meno conosciuto Edmund, Premio Nobel per l’Economia). Quando Letta studiava a Pisa, i manuali di politica economica dedicavano pagine intere alla sua teoria del ‘tasso naturale di disoccupazione’, spesso citandolo unicamente in una nota a fondo pagina. Phelps è giunto, utilizzando un percorso differente, a conclusioni analoghe a quelle di Milton Friedman (che ha sempre avuto doti di marketing ben superiori a quelle del timido collega): non esiste un trade off tra inflazione e disoccupazione in quanto nel medio termine si torna al ‘tasso naturale’ di chi cerca lavoro senza trovarlo. Una vera e propria condanna, senza appello, delle politiche neo-keynesiane (favorite da qualche Vice Ministro).
“Mass Flourishing” ossia cosa determina il tasso naturale di disoccupazione
Ma cosa determina tale ‘tasso naturale’ e frena, quindi, lo sviluppo? Edmud Phelps Ha appena pubblicato un libro – Mass Flourishing (Come Fiorire in Massa)- per illustrarlo. Il volume non è ancora giunto nelle librerie specializzate italiane (e non si sa se verrà mai tradotto), ma Letta se lo è procurato.
Il lavoro può essere considerato la sintesi di una lunga carriera di studi (Phelps è nato nel luglio 1933): il ‘tasso naturale di disoccupazione’ dipende dal grado di ‘corporativismo’ di una società – quanto più gruppi di produttori ed anche consumatori e di lavoratori si associano per ottenere vantaggi a spese della collettività’ tanto più alto è il ‘tasso naturale di disoccupazione’ e ci si avvia verso quella terza via che porta al terzo mondo. Il libro analizza con ricchezza di dati la differenza tra la crescita nei Paesi anglosassoni e quelli dell’Europa continentale: i secondi ristagnano perché ‘a loro manca ciò che spinge a cercare ed esperimentare sempre qualcosa di nuovo’, ‘a non stancarsi mai a stimolare innovazione dal basso’. Al contrario, hanno causato ‘un’esplosione non solo della spesa pubblica ma anche di regole, tasse ed imposte e benefici tributari on obiettivi particolaristici’. Per Phelps si resta al palo se non si butta l’armamentario di regole, se non si riduce la pressione tributaria (e la spesa pubblica). Il libro contiene ricette specifiche quali la netta separazioni tra banche commerciai e banche d’investimento.
Tutto convincente… ma pare il programma redatto da Antonio Martino nella primavera 1994? Potrà ingoiarlo, dopo vent’anni di crescita rasoterra e recessione, la coalizione delle larghe intese?
Dalla Columbia University, in quel di New York, Phelps fa sapere che o si trangugia la ricetta (anche se a qualcuno sembra amara) o si affoga.