Il mondo è in attesa del rapporto degli ispettori dell’Onu sull’uso di armi chimiche in Siria e della conseguente decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nell’avallare o meno un intevento militare americano nel Paese. Un’eventualità cui si sono però detti contrari Russia, Cina e Iran. Dietro l’appoggio di queste nazioni al regime di Bashar al-Assad infatti non ci sono solo affinità ideologiche o sostegno politico ma una serie di importanti affari economici.
Gli affari con la Russia
In questi due anni di guerra l’alleato principale della Siria è stata la Russia. Vladimir Putin ha difeso Assad ed è diventato il suo principale fornitore di armi. Fino ad ora Mosca è stata l’unico Stato ad avvertire delle “conseguenze catastrofiche” di un intervento militare in Siria. Il vicepremier russo Dmitri Rogozin ha scritto via Twitter: “L’Occidente sta giocando con il mondo islamico come una scimmia con una granata”.
Secondo il professore dell’Università di California, Daniel Treisman, intervistato dalla Cnn, l’industria russa ancora fa i conti delle perdite causate dalle sanzioni internazionali in Iran (13mila milioni di dollari) e la cancellazione di contratti in Libia (4mila e 500 milioni di dollari).
Per questo la Russia non si può permettere di perdere anche la Siria, dove tra esportazione di armi e progetti agricoli o di infrastrutture, ha investito 19mila e 400 milioni di dollari. Oltre alle spese per ammodernare la base navale di Tartus e altri contratti commerciali con Damasco.
Il gasdotto con l’Iran
Dal 2012 l’Iran ha aumentato l’appoggio militare alle forze di Assad. Da quel momento le armi sono arrivate al gruppo Hezbollah, che è sempre più presente in Siria per sostenere il regime. Lo scorso martedì Teheran – attraverso il portavoce del governo Abbas Araqchi – ha dichiarato di essere pronta per difendere Assad da qualsiasi attacco.
L’Iran è un Paese sciita ed è l’alleato più vicino alla Siria. Ha sempre accusato gli islamisti sunniti, Israele e l’Occidente di strumentalizzare il conflitto siriano per dominare la regione. Ma il sostegno non è solo ideologico: ci sono forti legami economici tra i due Paesi.
Da quando sono state imposte le sanzioni contro Teheran, le relazioni economiche tra Iran e Siria sono aumentate. Secondo il quotidiano Tehran Times, lo scorso mese l’Iran, l’Iraq e la Siria hanno firmato un accordo per la costruzione del più grande gasdotto in Medio Oriente, capace di trasportare gas dal sud dell’Iran verso l’Europa. Il gasdotto sarà di più di 6mila chilometri e attraverserà l’Iraq, l’Iran, la Siria e il Libano per arrivare all’Europa sotto il mare Mediterraneo.
La paura cinese
Anche il regime di Pechino, attraverso i media, ha avvertito sulle conseguenze dell’intervento militare in Siria. Secondo l’agenzia di notizie Xinhua, “non ci devono essere affermazioni impulsive fino a quando non sarà chiarita la verità. E tanto meno l’utilizzo di un presunto colpevole per giustificare un’azione militare unilaterale”.
Altri sostengono che la situazione è un ripetersi dell’invasione degli Usa in Iraq, senza mandato dell’Onu, nel 2003. “La comunità internazionale deve vigilare sulle forze esterne che provano a replicare quel modello in Siria”, ha scritto The People’s Daily, il giornale del Partito Comunista cinese.
Ma secondo il quotidiano turco Today’s Zaman, invece, il vero interesse della Cina è l’espansione della sua partecipazione in Medio Oriente: “Nel 2011 la Cina è stato il principale partner commerciale della Siria, con esportazioni valutate in 2mila e 400 milioni di dollari”.
Una somma non molto importante quando si parla della Cina, ma che nasconde il desiderio del colosso asiatico di contenere la presenza degli Stati Uniti nella regione. Con l’intervento in Siria l’accesso dell’Occidente alle risorse energetiche del Medio Oriente è garantito.