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La lezione del boy scout Obama ad Assad

Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Pierluigi Magnaschi uscito sul quotidiano Italia Oggi.

Barack Obama è diventato presidente degli Usa soprattutto perché è un fine intrattenitore. Sa parlare alla gente. Agita i buoni sentimenti e i massimi princìpi che espone, divulga, vellica e nei quali, alla fine, si arrotola con la felicità un po’ sorpresa del prestigiatore che tira fuori dal cilindro nero il coniglio sgambettante. Ma il presidente degli Stati Uniti non può essere un buonista piacione. Egli deve guidare, con mano ferma e, quando è necessario, anche machiavellica, la più grande potenza del mondo, dalle cui scelte deriva, oltre che la credibilità degli Stati Uniti d’America, anche il benessere o il minor malessere, del resto del globo.

Alla Casa Bianca quindi non può sedere un boy scout (con tutto il rispetto e l’ammirazione che ho per loro) ma solo un politico scafato, capace di reticenze mentali, di doppiezze e di scaltrezze. Il precedente boy scout salito alla Casa Bianca era Jimmy Carter, il presidente peanuts (la sua famiglia produceva noccioline americane). Carter aveva sempre l’aria stranita di uno che si è appena accorto che gli hanno fottuto il portafoglio. Fu lui che gestì, in modo disastroso, la questione dell’ambasciata americana di Teheran, sequestrata dai pasdaran di Khomeini che, a ben vedere, è all’origine del crogiuolo medio-orientale di cui nessuno ormai riesce più a trovare il bandolo, fra scontri di civiltà, etnici e intra-religiosi islamici.

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