Papa Francesco può intervenire positivamente in Siria. L’appello “mai più guerra” contro l’intervento militare proposto dagli Stati Uniti non risponde soltanto a una coerente posizione etica che favorisce la pace e il dialogo, ma anche all’intenzione del Pontefice di inserirsi dentro un dibattito politico ancora incerto. E aiutare a minimizzare le conseguenze.
In un’intervista a Formiche.net, Roberto Menotti,editor in chief di Aspenia online e senior advisor delle attività internazionali dell’Aspen Institute Italia, ha spiegato le diverse letture delle dichiarazioni di Papa Francesco.
Come può convivere l’appello “Mai più guerra” di Papa Francesco con la necessità di una risposta internazionale contro l’attacco chimico del regime siriano?
Il Papa ha fatto una mossa perfettamente coerente con il ruolo di Pontefice, con i principi della Chiesa. È una posizione etica verso la guerra come fenomeno, nel suo insieme, totalmente normale. Ma c’è un aspetto sottovalutato dai commenti degli ultimi giorni ed è il fatto che Papa Francesco abbia preso l’iniziativa quando i rischi di un cambiamento qualitativo del conflitto siriano sono evidenti. Ci sono sempre stati appelli contro tutte le guerre, ma questo è più forte e si riferisce specificamente all’allargamento nella regione, a una escalation.
Quindi l’ipotesi che un intervento in Siria diventi una guerra estesa, tra più forze, è reale?
Il Papa stesso riconosce che ci sono le gradazioni del conflitto e che siamo ad un punto pericoloso in Siria. Si tratta della “realpolitik” del Papa, non solo un richiamo etico e generale ma il tentativo di introdursi e partecipare nel dibattito politico. L’allargamento è stato avvertito da diversi leader e analisti, da Putin a Obama, ma la novità ora è l’inserimento della più alta autorità della Chiesa.
Non bisogna dimenticare che quasi ogni guerra (perché nel caso della Siria la dottrina cattolica della “guerra giusta” non si applica) è un crimine. Papa Francesco si sta inserendo in un momento di grandi incertezze e lui lo sa. L’effetto può essere positivo perché l’influenza può avere effetto sulla durata e la modalità dell’intervento. Oltre al coinvolgimento e la cooperazione della comunità internazionale prima, durante e dopo l’azione militare.
Perché nel caso della Siria non si applica la dottrina della “guerra giusta”?
Questo è un aspetto molto complesso e poco chiaro. La dottrina della “guerra giusta” è una delle guide della Chiesa e condivide alcuni principi con le Nazioni Unite. A mio parere la dottrina si sta interpretando in modo restrittivo per due motivi: perché non tutti i tentativi diplomatici per impedire l’aggravarsi della situazione sono stati messi in atto; e perché la risposta ad un possibile intervento non sarebbe proporzionale ma scatenerebbe subito un allargamento.
La settimana prossima il Congresso americano voterà la proposta di intervento militare in Siria. Cosa può succedere? E, nel caso non si trovi un accordo internazionale, gli Stati Uniti agiranno da soli?
Il Congresso americano è avviato verso un’approvazione della proposta. Limitata nel tempo e nel modo, ma sufficiente a fare quello che vuole Obama. Se ci sarà un intervento, e avrà successo, si percepirà come una vittoria, mentre se fallirà sarà una sconfitta di Obama e del Congresso. Penso che si tratterà di un’azione unilaterale, con qualche sostegno da parte di Francia e Turchia, ma senza quello delle Nazioni Unite. Tuttavia, ho la sensazione che nei giorni del G20 gli americani cercheranno di allargare il consenso internazionale dell’operazione, sulla base del principio che sarebbe stata violata una norma fondamentale e c’è esigenza di agire in qualche modo. Almeno sul piano della condanna politica al regime siriano.
L’Italia rimarrà nella sua posizione?
L’Italia non ha bisogno di cambiare posizione, soprattutto dopo il rifiuto dell’intervento del Parlamento britannico. Ma molto probabilmente ci saranno aggiustamenti della prospettiva dopo l’azione militare, se ci sarà, sulla disponibilità di aiutare la popolazione civile. Sarà un cambiamento nella fase due, solo dopo che ci sarà l’intervento e siano stati valutati gli effetti. Non ora.