Ora che sono state pubblicate le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna della Corte d’appello di Milano, salvo il rinvio per il calcolo dell’interdizione dai pubblici uffici, Silvio Berlusconi ha rinnovato la sua intenzione di ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro lo stato italiano. La Corte, con sede a Strasburgo, è l’organo di garanzia della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Cedu, conclusa nel ‘50 ed entrata in vigore nel ‘54.
Cedu e ordinamento italiano
Non solo gli Stati possono ricorrere a questa corte, ma anche i singoli. Il ricorso dell’individuo a una corte internazionale contro uno stato era un fatto rivoluzionario negli anni ’50 e continua a esserlo ora. Occorre però fare attenzione a non confondere la Corte di Strasburgo con un quarto grado di giurisdizione, a disposizione dell’individuo dopo la sentenza di cassazione.
La Cedu contiene un catalogo di diritti che debbono essere garantiti dagli stati parte. Questo è stato ampliato da una serie di protocolli aggiuntivi, sia di natura processuale che sostanziale.
L’Italia è stata spesso condannata dalla corte di Strasburgo per la lentezza delle procedure, ma nel caso di Berlusconi tale motivo di doglianza non ricorre, essendo stata lamentata non la lentezza, ma l’accelerazione della procedura.
Le norme della Cedu devono essere applicate nel nostro ordinamento e hanno un’efficacia superiore alle norme di legge ordinaria, ma inferiore a quelle costituzionali (c.d. norme interposte). Qualora si verifichi un contrasto tra la legge ordinaria e la disposizione della Cedu, che non possa essere superato in virtù di un’interpretazione conforme alla norma della Convenzione europea, il giudice dovrebbe rinviare la questione alla Corte costituzionale, che potrà annullare la norma in contrasto.
Si tratta ormai di giurisprudenza consolidata, quantunque, a parere di chi scrive, il giudice ordinario potrebbe direttamente disapplicare la norma interna in contrasto con la norma Cedu.
Seggio senatoriale
Due i motivi principali che vengono addotti dalla difesa di Berlusconi: la violazione dell’art. 7 della Cedu, che stabilisce il principio di irretroattività della legge penale, e l’art. 6, che detta i parametri per l’equo processo.
A seguito della sentenza milanese, la giunta per le elezioni del Senato dovrà verificare se la legge Severino prevede la decadenza di Berlusconi dal seggio senatoriale. Qualora la legge Severino fosse applicata al caso Berlusconi, bisognerebbe ulteriormente esaminare se essa comporti l’applicazione a fatti che si sono verificati prima della sua entrata in vigore. Con la conseguenza che si potrebbe verificare un contrasto con l’art. 7 della Cedu.
In caso positivo dovrebbe essere sollevata la questione di fronte alla Corte costituzionale, per abrogare la legge Severino nella parte in cui dispone la retroattività. Sempre che si ritenga che la giunta operi, nel caso in esame, come organo giurisdizionale. Mi sembra che il punto sia stato ventilato in uno dei pareri pro-veritate sottoposti da Berlusconi al Senato.
Indipendentemente dalla legge Severino e dal parere della giunta, la decadenza di Berlusconi dal seggio senatoriale diverrà definitiva non appena la Corte d’appello avrà ricalcolato il periodo d’interdizione e il Senato, come da prassi, ne avrà preso atto.
Qui però potrebbe essere presa in considerazione la violazione dell’art. 6 della Cedu in materia di equo processo, in particolare per quanto riguarda la formazione della prova. Il punto era ben presente ai giudici della Suprema corte, che hanno espressamente escluso una violazione dell’art. 6 della Cedu.
Barriera ricevibilità
Per i ricorsi individuali, il ricorrente deve lamentare di essere stato vittima di una violazione di uno dei diritti riconosciuti dalla Convenzione (non si può cioè ricorrere sul presupposto che una legge possa astrattamente danneggiare il ricorrente) e di aver esaurito i ricorsi interni, avendo percorso tutti i gradi di giudizio disponibili.
In relazione alla legge Severino, occorre quantomeno attendere la pronuncia della giunta del Senato che dichiari la decadenza di Berlusconi. Infatti la giunta potrebbe non applicare la legge Severino, ritenendola contraria all’art. 7 Cedu, o rinviare la propria decisione.
In relazione alla sentenza di cassazione, Berlusconi potrebbe immediatamente far ricorso a Strasburgo (ha sei mesi di tempo per farlo). Resta peraltro aperto il nodo della Corte d’appello che deve ricalcolare il periodo interdittivo. Sulla questione i ricorsi interni non possono essere considerati “esauriti”.
L’ostacolo principale da superare in un ricorso a Strasburgo è quello della ricevibilità. Uno dei motivi ricorrenti di irricevibilità è che il ricorso è manifestamente infondato. Nello stadio della ricevibilità si verifica una vera ecatombe di ricorsi.
Supponendo che il ricorso sia dichiarato ricevibile e approdi a una camera della corte, esso potrebbe poi essere esaminato dalla Grande camera per questioni di grande rilevanza giuridica.
Composizione amichevole della controversia
La Corte Cedu è un tribunale, ma non agisce indipendentemente da altri meccanismi previsti dal diritto internazionale. Nel caso in esame, il ricorso è presentato contro lo stato italiano, ma uno stato parte potrebbe essere autorizzato ad intervenire nel procedimento (ipotesi peraltro teorica in una questione così delicata).
Addirittura il presidente della Corte potrebbe invitare uno stato membro e ogni altra persona interessata a presentare osservazioni a titolo di amicus curiae, nell’interesse della buona amministrazione della giustizia.
È possibile anche la richiesta di misure provvisorie, ma è da accertare, peraltro, se una misura di questo genere possa giocare in favore di una sospensione della misura interdittiva dai pubblici uffici.
Il meccanismo più interessante è forse quello per cui la Camera, presso cui è discusso il ricorso, si mette a disposizione delle parti per pervenire ad una soluzione amichevole della questione, con una procedura che ha carattere riservato.
Tale composizione amichevole appare agevole, quando l’esecutivo possa disporre della questione, ma appare ostica in questo caso, dove si verte in una materia del più alto significato politico. Potrebbe il tentativo di composizione amichevole aprire la strada per un provvedimento di clemenza? Se sì, con quali modalità ed effetti? Si tratta di un terreno per lo più inesplorato.
Serie di incognite
Supponendo che non sia raggiunta nessuna composizione amichevole e il procedimento prosegua il suo iter e si concluda con la vittoria del ricorrente e il riconoscimento della violazione della Cedu, l’ulteriore ostacolo è rappresentato dalla rimozione della sentenza della Cassazione.
Di per sé la Corte europea si limita ad accertare che c’è stata una violazione della Cedu, quantunque negli ultimi tempi abbia iniziato ad indicare gli ostacoli di natura strutturale che dovrebbero essere rimossi.
La constatazione della violazione, senza un seguito concreto, avrebbe un alto valore politico, ma niente di più. Vi sarebbe solo il riconoscimento dell’equa soddisfazione, che normalmente si sostanzia nell’obbligo del versamento di una somma di denaro, e la prospettiva che il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa constati l’inesecuzione della sentenza e riporti la questione dinanzi alla Corte.
L’Italia, al contrario di altri Stati, non ha ancora adottato disposizioni di natura legislativa per l’esecuzione delle sentenze Cedu. Già nella sentenza n. 113 del 2011, la Corte costituzionale aveva indicato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede come motivo di revisione delle sentenze irrevocabili di condanna la necessità ad adeguarsi ad una sentenza della Corte di Strasburgo.
È prematuro chiedersi se la via della revisione della sentenza della Cassazione possa essere esperita in caso di giudizio favorevole per il ricorrente ed in assenza di un intervento legislativo che preveda la sentenza favorevole di Strasburgo come motivo di revisione.
In conclusione, il ricorso alla Corte di Strasburgo è irto di ostacoli, ma potrebbe offrire spiragli al ricorrente. Specialmente se si dovesse arrivare a una composizione amichevole della controversia su impulso di un organismo internazionale.
Su tutto questo, però, aleggia l’incognita dei tempi, poiché la Corte Cedu è diventata vittima del suo stesso successo e i tempi processuali non coincidono spesso con l’interesse del ricorrente ad ottenere una pronuncia rapida che vada di pari passo con il risultato che egli intenda ottenere sul piano interno.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.