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Scuola, vi spiego perché non salgo sulla Carrozza dell’enfasi governativa

Riapre la scuola e si sente un’aria di restaurazione… senza che prima sia scoppiata la rivoluzione.

La cantilena è sempre la stessa: i fondi non bastano, gli insegnanti sono pochi, gli insegnamenti inadeguati, manca un rapporto con il mondo del lavoro.

In più, ecco la “lagnatela” contro il numero chiuso all’università, i test di accesso, il valore della maturità e del titolo di studio. La professoressa Carrozza, ministro della Pubblica istruzione, dice che la scuola è tornata al centro, facendo eco ad enfatiche dichiarazioni del presidente del Consiglio. Magari. In realtà, il governo ha varato alcuni passi indietro rispetto alle scelte di Monti e di Profumo, la più importante delle quali riguarda le assunzioni dove è prevalsa una logica assistenziale.

“Congelati concorsi e concorsoni pubblici – scrive la Repubblica – la ministra pisana ha scelto di reclutare chi a scuola lavora già: i precari”. Già. Verrà fatta una verifica sul loro livello culturale e sulla loro effettiva capacità di insegnare? Sistemare il precariato è una necessità nel medio periodo. Ma non vuol dire collocare tutti, sempre e comunque.

La svalutazione dei concorsi alla quale contribuiscono servizi giornalistici faciloni e populisti (a cominciare dalla campagna contro gli invalsi), fa parte di un clima di mera conservazione. Se i test sono fatti male si fa bene a protestare.

Ma non è certo scandaloso che un medico debba sapere cosa significa onirico o che cos’è l’empirismo. La Repubblica lo mette alla berlina e si meraviglia con il suo solito sussiego. Ma sapere che Bacon non è (solo) una pancetta affumicata e Freud non dava i numeri per il lotto, è importante soprattutto per chi studia i sintomi del male, nel corpo e nella psiche.

E giù tutti a dire cosa la scuola deve insegnare, come se fosse la formazione della nazionale di calcio. Se bisogna fare più geografia o più logica, più greco o più lingue straniere. La testa dei ragazzi diventa una salsiccia da riempire di nozioni. E nessuno si scandalizza se ancora oggi si sente dire Disnei invece di Disnii e Clunei invece di Cluunii, Yorksciair invece di Yorksciar, nonostante l’inglese venga insegnato (si fa per dire) fin dalla scuola dell’obbligo. Del resto, fanno testo la radio e la tv dove nessuno spiega ai presentatori come si pronuncia un nome straniero, regola base nelle televisioni straniere. Decisamente, la Rai non è la Bbc.

D’altra parte, prevale la quantità (nel numero degli insegnanti e degli insegnamenti) anziché la qualità. Se la scuola fosse davvero una priorità nell’azione di governo, la professoressa Carrozza dovrebbe avere il mandato di rovesciare la logica di fondo, favorire la selezione (più bocciature negli istituti secondari), puntare su un approccio sistemico, aprirsi alle imprese infrangendo i cristalli della torre accademica, offrire sostegni, non solo finanziari, ai ragazzi di talento. Non era per questo che scendevano in piazza i cinquantenni e sessantenni di oggi che, una volta laureati e presa la cattedra, si battono per non cambiare nulla? Il nozionismo e le baronie non era i nemici giurati dei sessantottini prima che i contestatori di un tempo diventassero una corporazione assistita?

Insomma, non c’è proprio nulla da celebrare. E toccherà ancora una volta alla selezione “naturale”, cioè familiare, il compito di supplire a una scuola così uguale per tutti da non servire a nessuno. E’ il darwinismo sociale all’italiana che ci ha portato dove siamo. Cioè davvero in basso.

Stefano Cingolani (www.cingolo.it)



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