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Cameron manda di traverso agli inglesi il Made in Italy in tavola

David Cameron ha deciso. E’ l’ora di passare ai fatti. Gli inglesi sono sempre più grassi, mangiano male e curarli costa troppo. Come ha scritto il Daily Telegraph senza troppo giri di parole: l’inglese è the fat man of Europe, il ciccione d’Europa. Per correre ai ripari il primo ministro inglese ha predisposto un piano salutista che partirà da settembre e che è un vero siluro alla dieta mediterranea. Gli inglesi devono sapere quanto sale, quanti grassi e zuccheri sono presenti nel cibo.

La lotta alle delizie culinarie mediterranee

Per vincere colesterolo e glicemia occorre un modo semplice, diretto e soprattutto visivo. Attraverso i colori del semaforo: rosso -massimo pericolo, giallo -medio giallo, verde – tutto ok. Un modo semplicistico e certamente non scientifico di classificare i prodotti. Ma una vera e propria bomba che il governo britannico lancia contro il club Med dell’alimentazione. Un attacco al culatello italico, ma anche al jamon serrano spagnolo, al camembert francese o alla feta greca.

L’export agroalimentare italiano a Londra e le accuse di Lorenzin

Ovviamente sono solo “raccomandazioni” al consumatore ma che lanciano un vero e proprio allarme per i produttori. Per l’Italia ad esempio l’export agroalimentare nel Regno Unito vale qualcosa come 2,3 miliardi di euro, e questo anno, nonostante il perdurare della crisi economica le vendite sono cresciute nei primi sei mesi dell’anno di un significativo +4%. Un piatto ricco che agita associazioni di categoria e produttori industriali. E che difficilmente finirà a tarallucci e vino. Al punto che il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, da quanto ha potuto verificare il Foglio, ha preso carta e penna ed ha scritto al Commissario europeo alla salute, il maltese Tonio Borg lanciando l’allarme. “Il sistema inglese che pretende di classificare gli alimenti in base alle quantità contenute di grassi saturi, zuccheri e sale rischia di mettere in cattiva luce e discriminare gli alimenti tipici della nostra tradizione, conosciuti ovunque per le loro caratteristiche organolettiche e la loro qualità”. “L’Italia – prosegue – vanta il maggior numero di alimenti Dop e Igp che fanno parte integrante della dieta mediterranea e la cui validità è patrimonio non solo italiano”.

La reazione di Bruxelles

E il governo di Bruxelles che ne pensa? Fino ad ora ha prevalso il silenzio. Forse non si intravede nella misura del semaforo una barriera protezionistica in difesa delle produzioni britanniche. E allo stesso tempo non si vogliono surriscaldare gli animi di un governo inglese già molto euroscettico e che non capirebbe una eventuale ritorsione. Già perché a questo stanno lavorando i nostri sherpa a Bruxelles. Stanno documentando come il semaforo inglese pregiudica la libera circolazione delle merci e quindi potrebbe scattare una procedura d’infrazione per “mancata notifica di norma tecnica”.

Le mosse di De Castro

Uno che ne capisce è l’ex ministro delle politiche agricole, Paolo De Castro, oggi presidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo che si era già speso per convincere la commissione Salute ad archiviare la stagione dei bollini. Allora il simbolo della battaglia fu la Nutella, oggi il semaforo inglese che rischia di bloccare gran parte delle specialità made in Italy. “L’etichetta europea così come è già oggi garantisce una buona informazione, con l’indicazione dell’origine estesa a una serie di prodotti anche se – sottolinea De Castro– l’Europarlamento avrebbe voluto fare di più, ma la Commissione bloccò ulteriori indicazioni. In ogni caso le “informazioni al consumatore” varate da Bruxelles – aggiunge – informano sui contenuti, ma senza influenzare le scelte. La decisione della Gran Bretagna potrebbe porsi invece in contrasto con il mercato unico. Ma a questo punto la parola passerebbe alla Corte di giustizia”.

Le altre minaccie al Made in Italy sulla tavola

Ma i pericoli non arrivano solo da Londra. Anche dall’altra parte dell’Atlantico i nostri prodotti dell’agroalimentare sono messi in discussione. Qualche settimana fa l’American Meat Institute, l’American Cheese Society e il Centro de la industria Lechera Argentina si sono alleati nel Consortium for Common Food Names (CCFN). Una vera e propria macchina da guerra in difesa dei prodotti denominati italian sounding. Che non sono italiani anche se, attraverso nomi, foto, etichette, slogan richiamano al nostro Paese. Una partita che soltanto negli Usa vale un giro d’affari di oltre 20 miliardi di dollari l’anno: un prodotto su tre nei supermarket a stelle e strisce è contraffatto. Oggi questa Associazione vuole di fatto buttare a gamba per aria anni di battaglia in ambito Wto per il riconoscimento delle indicazioni geografiche. E vedere sullo stesso piano il parmigiano reggiano con il gemello parmesan-parmesano. Il paradosso che anche il presidente di questa potente lobby, che può contare su un budget di oltre 30 milioni di dollari, è un imprenditore di origine italiana, Errico Auricchio numero uno della BelGioiso Cheese. Ma che nulla ha a che vedere con un Auricchio più famoso, quel Giandomenico, già vice presidente di Confindustria e a capo del famoso provolone. Almeno così speriamo.



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