Grazie all’autorizzazione dell’autore, pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito oggi sulla Gazzetta di Parma
E’ un conto alla rovescia inusuale, perché si sa già come finirà la partita del senatore Silvio Berlusconi: sarà comunque destinato a lasciare il Parlamento o per la legge-Severino o per la successiva e già annunciata interdizione dai pubblici uffici in arrivo entro l’anno. Ma nessuno sa che cosa succederà da qui al giorno del giudizio, il primo giudizio di mercoledì prossimo alla giunta per le elezioni di palazzo Madama. E soprattutto nessuno può prevedere quale sarà l’effetto -anche effetto “a scoppio ritardato”- della decisione della giunta sul governo. Per l’ex presidente del Consiglio e leader del Pdl e per l’attuale presidente del Consiglio ed esponente di spicco del Pd, Enrico Letta, si apre, dunque, la settimana più difficile della legislatura. Berlusconi alle prese con la decadenza dal seggio parlamentare, Letta con un esecutivo in bilico per quel voto che spacca.
Partita inusuale, ma partita pregiudiziale. Il braccio di ferro ha poco da vedere con le nobili motivazioni giuridico-costituzionali e con le profonde questioni politico-istituzionali che pure, a turno, Pd e Pdl invocano per giustificare il proprio e inconciliabile punto di vista. Ai parlamentari del centro-sinistra non interessa la sorte dell’antagonista condannato col quale, anzi, possono finalmente regolare i conti dopo un ventennio di alterne vittorie e sconfitte, soprattutto sconfitte. Ai senatori di centro-destra preme soltanto salvare il loro leader dall’onta di un’espulsione dal Parlamento senza precedenti, e senza perdere la faccia: come farebbero, del resto, i ministri del Pdl a restare al governo con l’alleato-Pd che ha cacciato il Cavaliere e loro capo dal Senato?
Proprio perché di tiro alla fune si tratta, appare grottesca la richiesta agli uni di “leggere le carte” presentate dalla difesa, come se la sfida fosse in punta di diritto. Agli altri, di mollare Berlusconi, come se il governo voluto e votato anche dal partito di Berlusconi orbitasse in un altro e distinto pianeta. E così, nel dubbio, le parti già si scambiano l’accusa di “volere la crisi” o addirittura il voto anticipato, come dicono Guglielmo Epifani al Pdl e Renato Schifani al Pd. Sono le ultime mosse per tentare d’orientare la scacchiera della giunta cercando di evitare, se non lo scacco matto al Re decadente, almeno la caduta del governo. Perfino la giustificazione del voto segreto previsto nel successivo esame dell’aula, e la proposta di volerlo trasformare in voto palese, ubbidiscono al rigoroso ruolo delle parti: con o contro Berlusconi, a prescindere da sentenze, grazie, governi e principi costituzionali pur da tutti evocati. E’ una nuda e cruda resa dei conti, che arriva all’ultimo atto.
Anche le prese di posizione in qualche modo “terze” di Mario Monti, che vuole trasformare la strana coalizione in “governo di legislatura”, o di Pier Ferdinando Casini, che mai starà insieme, ha detto, con chi “farà cadere il governo-Letta”, rientrano nel gioco delle parti.
Allo stato, allora, solo tre cose sembrano inevitabili, e tutto il resto imprevedibile. Inevitabile che Berlusconi prima o poi dovrà lasciare il Senato (ma continuerà a guidare il Pdl dagli arresti domiciliari o dai servizi sociali). Inevitabile che nessuno dei due alleati ma avversari, Pd-Pdl, staccherà per primo la spina al governo, specie di questi giorni (invece del doman, com’è noto, non v’è certezza). Inevitabile che dal modo e dal tono con cui i contendenti arriveranno al verdetto, si capirà la durata del governo-Letta al presente, ma soprattutto la sua futura capacità di decidere e di incidere sull’economia.
Secondo Beppe Grillo lo scontro in corso è di facciata e alla fine, magari col voto segreto (“un abominio”), il Pd salverà Berlusconi in aula. Ma la posta in palio va ben oltre la decadenza del Cavaliere dal Senato. Come il “quasi gol”, che non è un gol, siamo alla “quasi rottura”. La vigilia più lunga è cominciata.