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Grillo, il voto segreto e la rivoluzione francese

Bisogna considerare con attenzione le contraddizioni del Movimento 5 Stelle, perché spesso sono così significative da rivelare la debolezza e la superficialità del pensiero politico che vi starebbe dietro. Altre volte, sono tali da rivelarne la natura molto poco libertaria.

Ho sempre pensato, ad esempio, che addebitare all’euro la responsabilità del declino in cui si trova l’Italia oggi, e farlo con l’enfasi con cui lo fa Grillo, fornisca un grande alibi a quella classe politica che lo stesso movimento mira a demolire.

In tema di rappresentanza, devo invece ammettere che molte idee del M5S le considero condivisibili, almeno entro certi limiti, come ho già avuto modo di sostenere.
Su una cosa mi trovo, però, in profondo disaccordo.

Una delle battaglie condotte dal Movimento 5 Stelle in tema di rappresentanza riguarda il c.d. vincolo di mandato, la cui assenza per Grillo legittimerebbe una vera e propria “circonvenzione di elettore”.

L’art. 67 Cost. stabilisce che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Ciò significa, in sostanza, che l’eletto non è tenuto a rispettare la volontà particolare del cittadino che lo ha votato, rimanendo libero di perseguire di volta in volta quello che, in sua coscienza, ritiene essere l’interesse generale.

La norma è frutto della rivoluzione francese ed è stata inserita nella costituzione del 1791 in netta polemica con l’ancien regime, ma anche col giacobinismo, sul presupposto che il popolo fosse riducibile ad un’unità indifferenziata, pervasa da interessi generali che trascendono quelli dei singoli.
Oggi, nei moderni sistemi costituzionali, la norma sta a difesa dell’indipendenza dell’eletto e costituisce un argine contro l’influenza partitocratica e dei gruppi di pressione.

Una delle prerogative in cui si estrinseca l’assenza di mandato imperativo è la possibilità di esprimere un voto segreto nell’ambito di certe deliberazioni.
Il voto segreto è forse fra le più alte espressioni dell’indipendenza dell’eletto, in quanto esclude all’origine ogni possibile rendiconto.

Lo scontro sul voto segreto che ha aperto il M5S si pone quindi in contrasto con un’importante conquista della rivoluzione francese, quella che ha sancito l’uguaglianza di ciascun individuo di fronte all’interesse generale, a discapito degli interessi particolari.

In un’intervista ad un giornale tedesco nel marzo 2013, Grillo spiegò di considerarsi la “rivoluzione francese senza la ghigliottina”.
Quella di Grillo è evidentemente una rivoluzione poco “girondina” e molto “giacobina”.
E’ una battaglia molto poco ispirata a principi liberaldemocratici e basata soprattutto su quelli che alcuni costituzionalisti definiscono principi democratico-radicali.

Grillo dimostra sui suoi eletti quella stessa smania di controllo a cui mirava Robespierre e che sarebbe poi stata messa in pratica da quel particolare esperimento socialista che fu la Comune di Parigi del 1871, la cui costituzione stabiliva che “i membri dell’assemblea municipale, incessantemente controllati, sorvegliati, discussi per le loro opinioni, sono revocabili, responsabili e tenuti a rendere conto”.

Paolo Becchi ha scritto oggi sul blog di Grillo che l’abolizione del voto segreto è uno dei “pilastri” della politica del M5S, “come garanzia di trasparenza e pubblicità del potere”.

L’abolizione del voto segreto è però un attacco al divieto di mandato imperativo.
E il mandato imperativo è una delle tante anticamere del totalitarismo.
Non si gioca con la trasparenza a discapito della libertà.
Non si gioca con alcunché a discapito della libertà.
Mai.


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