Il presidente che voleva fare il Robin Hood di Parigi aumentando le tasse ai ricchi per diminuirle ai poveri rischia di fallire nell’impresa scontentando tutti. Quando François Hollande è diventato il capo dell’Eliseo nel 2012, la sua più famosa promessa elettorale è stata infatti quella di imporre una tassa del 75% sugli stipendi superiori al milione di euro l’anno. Peccato che nel frattempo abbia firmato aumenti della pressione fiscale senza riuscire a tamponare il deficit in aumento e con tagli alla spesa che sbilanciano il welfare francese.
Il confronto con l’Italia
Niente a che vedere con il record italiano certificato anche dalla Banca Mondiale nel rapporto Paying Taxes 2013 secondo cui il Paese si posiziona al 131esimo posto nella classifica generale sulla tassazione stilata su base mondiale prendendo ad esame 185 economie. In Italia infatti il carico fiscale complessivo è il più alto d’Europa, pari al 68,3% dei profitti commerciali, sostanzialmente stabile contro una media Eu&Efta scesa, nonostante la crisi, al 42,6% (media mondiale del 44,7%). Non solo. Parigi vanta un debito pubblico ben inferiore alla soglia del 130% di Roma, e ha potuto spendere di più nel 2012 sforando i parametri di Maastricht sul deficit. Ma ai francesi i paragoni non piacciono. E si preparano a prendere in mano i forconi prima di quanto succeda in Italia.
Il presidente socialista, sottolinea il Financial Times, ha ammesso che il Paese sta toccando la soglia fiscale massima sostenibile. Hollande ha osservato che sia il suo che il governo precedente di centrodestra hanno aumentato le tasse per 60 miliardi complessivi dal 2011, l’equivalente del 3% del Pil nazionale. “E’ molto, anzi, sarebbe meglio dire ce è troppo”, ha commentato.
Le dichiarazioni di Moscovici
Hollande ha quindi promesso una “pausa fiscale”, sostenendo il suo ministro delle Finanze, Pierre Moscovici, che il mese scorso ha scatenato nuove tensioni con l’opposizione quando ha dichiarato di essere cosciente che i francesi delle tasse non ne possono più.
Deficit e debito
La classe dirigente industriale del Paese ha chiesto pietà dopo i continui aumenti della pressione fiscale, che secondo le stime del governo toccherà il 46,5% nel 2014, raggiungendo uno dei livelli più alti tra i Paesi avanzati. E gli ultimi sondaggi mostrano come l’insofferenza stia man mano aumentando tra la popolazione. Con la crisi economica, del resto, il deficit statale è rimasto alto, con un debito pubblico che dovrebbe superare il 95% del Pil nel 2014.
I tagli alla spesa pubblica e l’aumento dell’Iva
Una leggera ripresa ha incoraggiato il governo a dimezzare il suo piano originale di aumento di ulteriori 6 miliardi di tasse nel 2014. E i 18 miliardi di risparmi da prevedere nel bilancio 2014 includeranno 15 miliardi di tagli alla spesa pubblica, un capovolgimento dello schema che prevedeva maggiori risparmi a partire da un aumento della tassazione, senza toccare quindi il welfare. E la marea di tasse non sarà di certo riducibile in fretta, dato che una serie di misure già annunciate deve ancora cominciare ad avere effetto. La tassa del 75% che ricadrà sulle società che pagano salari superiori al milione di euro all’anno sarà introdotta per due anni a partire dal 2014 e, allo stesso modo, l’aumento dell’Iva dal 19,6 al 20% (in Italia ci si prepara al 22%) scatterà il prossimo anno così come l’incremento dei contributi pensionistici.
Le critiche della Confindustria francese
Le imprese beneficeranno dell’introduzione di un credito d’imposta sui dipendenti del valore di 20 miliardi nel 2015, con l’obiettivo di ridurre gli alti costi del lavoro in Francia. E il governo ha anche promesso misure per compensare i due miliardi in più di contributi pensionistici. Ma gli imprenditori francesi restano insoddisfatti e continuano a chiedere tagli più incisivi alla spesa pubblica, che rappresenta il 57% del Pil, e una riduzione delle tasse. Pierre Gattaz, a capo della Confindustria francese Medef, ha sottolineato che le società nazionali hanno pagato almeno 50 miliardi di tasse in più rispetto ai rivali tedeschi. Numero che fanno di sicuro sorridere il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, abituato a contare già solo il gap con Parigi.