Mentre la 68esima assemblea nelle Nazioni Unite inizia i lavori e il Consiglio di sicurezza rimane diviso sulla soluzione alla crisi siriana proposta dalla Russia, con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia che vorrebbero far inserire nella risoluzione anche il richiamo al Chapter VII della Carta dell’Onu, relativo alla possibilità di un intervento armato – seppure come ultima ratio – la Santa Sede non ferma gli sforzi diplomatici ravvivati, nelle ultime settimane, dalle parole di Papa Francesco.
Confermando un ruolo che le fu proprio già ai tempi in cui Wojtyla tentò di stoppare l’attacco all’Iraq, deciso poi da George W. Bush nel 2003. Anche stamattina, nella consueta udienza del mercoledì, Bergoglio ha invitato “i cattolici di tutto il mondo ad unirsi agli altri cristiani per continuare ad implorare da Dio il dono della pace nei luoghi più tormentati del nostro pianeta”, rivolgendo il pensiero “specialmente alla cara popolazione siriana, la cui tragedia umana può essere risolta solo con il dialogo e la trattativa, nel rispetto della giustizia e della dignità di ogni persona”.
Le parole di Mamberti alla riunione Aiea
Ma è tutta la diplomazia vaticana a muoversi. Intervenendo alla riunione dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica), l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, in sostanza il ministro degli esteri vaticano, ha ribadito “la profonda preoccupazione della Santa Sede per i recenti tragici sviluppi in Medio Oriente, e il suo forte sostegno agli sforzi per istituire una zona mediorientale libera da armi nucleari e da tutte le altre armi di distruzione di massa”, tra le quali certamente vanno fatte rientrare quelle chimiche utilizzate nel conflitto in Siria.
I veti incrociati all’Onu
Certo sulla paternità del loro utilizzo le idee rimangono poco chiare: il rapporto Onu, consegnato dagli ispettori al segretario generale Ban Ki-moon, certifica l’uso del gas sarin nell’uccisione, il 21 agosto scorso, di 1400 persone nel sobborgo di Ghouta ad est di Damasco, lasciando però a Londra, Washington e Parigi la responsabilità di additare in Bashar al Assad e nell’esercito regolare siriano i colpevoli della strage. Una tesi, quest’ultima, fortemente contestata dal governo di Damasco e dal suo principale sponsor, la Russia di Putin, che non a caso bolla come “di parte” e “fazioso” il dossier del Palazzo di Vetro, affermando invece che “le armi chimiche sono state usate dai ribelli”. Una matassa difficile da dipanare, che lascia intravedere una battaglia serrata una volta che sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza si debba chiudere il cerchio: là, Russia (e probabilmente Cina), da una parte, e Usa, Francia e Inghilterra, dall’altra, si sfideranno a colpi di “veto” come da consuetudine fin dalla nascita dell’Onu.
“Hanno un’anima i nostri politici?”
A due anni e mezzo dall’inizio della crisi i morti si contano ormai a decine di migliaia e i profughi siriani ammontano già a due milioni. Per questo la Santa Sede si oppone a un intervento armato che rischierebbe di non essere risolutivo. Lo ribadisce con nettezza il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Louis Twal, giunto a Roma per la riunione dei rappresentanti della Conferenza dei vescovi latini delle regioni arabe, che riunisce i vescovi cattolici di rito latino presenti negli Stati arabi del Medio Oriente, in Egitto e in Somalia. “Siamo contrari a questa guerra! – tuona Twal a Radio Vaticana – io mi chiedo se i nostri politici hanno un’anima e se sentono la voce di questi 100 mila morti, bambini e adulti?”.
Il dialogo appeso a un filo
Il 7 settembre, in occasione della veglia di digiuno e di preghiera a San Pietro, Papa Francesco levò ripetutamente il grido “non più la guerra, non più la guerra”, che già Paolo VI aveva pronunciato all’Onu il 4 ottobre 1965, condannando tanto l’uso delle armi chimiche quanto la volontà di porre fine alle ostilità con un intervento armato, in sostanza bloccando la decisione di Obama di un attacco mirato e limitato nel tempo contro il regime siriano. E chissà che la convinzione del pontefice sul fatto che “la guerra non è mai la via della pace” non riecheggi anche nelle parole che pronuncerà il prossimo 4 ottobre ad Assisi, nella città che ha dato i natali al santo di cui il Papa porta il nome e che è da sempre “la città della pace” per eccellenza. Ma il dialogo, oggi, rimane appeso a un filo, e si fa sempre più concreta la possibilità che, ancora una volta, la comunità internazionale, manchi l’unità d’intenti necessaria a evitare l’allargarsi del conflitto e la fine di ogni trattativa.