La crisi siriana, nonostante il ruolo della Russia di Vladimir Putin, e gli sforzi diplomatici in Medio Oriente hanno dimostrato come gli Stati Uniti restino ancora i poliziotti del mondo. Ma mantenere alta la guardia ha un costo che forse Washington non può più sostenere.
Con il Sequester, il piano di tagli deciso dal Congresso a inizio 2013, e le tensioni politiche sull’aumento del tetto del debito, il presidente Barack Obama è costretto a guardare sempre più dentro casa. A maggior ragione con le iniezioni di liquidità record della Fed e l’aumento della povertà nel Paese. Non stupisce, in questo senso, la grande opposizione nell’opinione pubblica ad un intervento militare a Damasco. Quelle risorse servono in America. Non lontano da essa.
Soft Power a rischio
Secondo un rapporto del think tank Rand Corporation, gli Stati Uniti hanno ancora abbastanza potere economico per decidere aspetti importanti a livello internazionale, ma l’elevato debito pubblico in futuro potrebbe minare i loro strumenti di potere economico e, quindi, il loro soft power.
“L’alto livello del debito pubblico potrebbe minacciare la crescita economica futura e limitare la capacità del governo di perseguire obiettivi internazionali e nazionali”, evidenzia lo studio. “E se gli Stati Uniti non riescono a ridurre il loro debito, l’influenza americana a livello globale sarà inesorabilmente destinata al declino”.
Le quote nella Banca Mondiale e nel Fmi
Il bivio per ridurre il debito resta sempre lo stesso: aumentare le tasse o tagliare la spesa pubblica.
Ma, “nonostante alcuni indicatori economici di cui la classe politica americani dovrebbe preoccuparsi, altri aspetti sottolineano come la forza e l’influenza statunitense siano ancora fortissimi”. Qualche esempio? Il ruolo nelle maggiori istituzioni finanziarie internazionali come il Fmi o la Banca mondiale, in cui il diritto di voto è ponderato in base alla quota detenuta.
“Ma mentre gli Usa hanno evitato di aumentare la loro quota nell’istituto guidato da Christine Lagarde, sono stati altri Paesi ad accrescere il loro impegno, e di conseguenza, il loro peso nelle votazioni, come Cina, Russia e Arabia”. I player che il presidente Barack Obama, non a caso, deve temere di più, come ha sottolineato recentemente anche l’esperto Ian Bremmer.
Gli accordi commerciali internazionali
D’altra parte, “gli Stati Uniti hanno deciso sanzioni economiche di successo contro l’Iran, ad esempio, con l’obiettivo di limitarne il programma nucleare. E Washington si è dimostrata anche recentemente una forza trainante nell’attuazione di nuovi accordi commerciali come la Trans Atlantic e la Trans Pacific Partnership“.
E nonostante i recenti tagli, “la spesa statunitense per la difesa dovrebbe restare superiore ai livelli precedenti agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, e ben al di sopra delle soglie minime storiche degli anni 1978 e 1999”.
I rischi della spending review
Ridurre il deficit non sarà facile. Le spese discrezionali – per difesa e non- rappresentano meno del 7% del Pil, meno della metà della quota relativa alla spesa assistenziale obbligatoria. Se si guarda alle spese assistenziali obbligatorie, si sta parlando di cose come Medicare e Social Security “, ha sottolineato Richard New, autore del report e senior economist di Rand. “E frenare la crescita di quei programmi è estremamente difficile politicamente. Ma c’è da dire che neanche i tagli discrezionali vanno a vantaggio dell’interesse del Paese”. Il problema, insomma, non è più tagliare o non tagliare. Bisogna solo decidere cosa. Ad Obama il dilemma.