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Germania, ecco le sfide di una trionfante Merkel

L’espansione elettorale del CDU oltre il 40% è la notizia più importante, che conferma i peggiori timori dell’Economist. Il settimanale londinese qualche giorno fa pubblicava infatti una catastrofica copertina con la cancelliera in cima a una colonna, mentre Partenone, Colosseo, Torre Eiffel e Torre di Londra sprofondavano nel fango.

Sebbene l’articolo fosse cautamente a favore di una Merkel “liberista” (più immaginata che reale, e per di più in un ipotetico contesto bipartitico Spd-Cdu che non esiste in Germania), il messaggio suggerito dall’immagine era chiaro: la cancelliera regna sempre più forte su un’Europa in macerie, e forse proprio grazie al fatto che l’Europa è a pezzi e impoverita (dalla Germania e dal suo rigore, è l’implicito passaggio successivo).

Germania costante d’Europa
Nelle crisi militari dell’ultimo decennio, l’unica potenza UE ad aver mantenuto ferma la barra è stata la Germania. In Iraq (2003), Libia (2011) e Siria (2013) la linea del non intervento è stata sempre confermata, mentre la Gran Bretagna è stata interventista nelle prime due e astensionista nella terza, la Francia astensionista nella prima e interventista in Libia e Siria, e l’Italia interventista in Iraq e Libia e cauta sulla Siria.

Questa scelta si dice che preoccupi alcuni ambienti atlantici, ma è doveroso sottolineare che la Germania ha utilizzato le crisi in cui non è intervenuta direttamente con le bombe per mettere a punto la logistica e le funzioni di supporto e intelligence. Ovvero le capacità-chiave ISTAR (Intelligence, Sorveglianza, Acquisizione Bersagli e Ricognizione) che sono considerate, al Quartier Generale dell’Alleanza e al Pentagono, fondamentali per le sfide militari del futuro.

Ma il vero fatto politico, anzi geopolitico, è che la linea dell’assertività economica e della prudenza militare non è stata oggetto di contesa elettorale, perché evidentemente esprime gli orientamenti e gli interessi generali del Paese. In qualsiasi combinazione parlamentare, essa non verrà messa in discussione, sostiene Klaus-Dieter Frankenberger sul Frankfurter Allgemeine Zeitung (anche perché – si può aggiungere – gli spezzoni radical-liberali che avrebbero potuto fare da sponda a fughe in avanti ultra-atlantiste e anti-europee non hanno sfondato).

E’ un bel vantaggio rispetto alla Francia, dove ci si comincia a chiedere se si sia mandato troppo in fretta in soffitta il gollismo e alla Gran Bretagna, dove il voto di Westminister contro l’intervento unilaterale in Siria ha innescato una sorta di crisi di coscienza nazionale.

Elettori della classe media orfani

Il quotidiano di Francoforte è molto attento all’andamento disastroso dei liberal-democratici della FDP, che perdono il 9% dei consensi e non possono ricostituire l’alleanza giallo-nera del 2009-2013.

La realtà è che l’espansione popolare e socialista, che ha raccolto i due terzi del voto, non basta a coprire il fatto che gli elettori della classe media urbana siano “orfani” di una formazione, come il FDP, in grado di intercettare voti e interessi di gruppi fondamentali del capitalismo e al tempo stesso dei ceti professionali.

In misura certo superiore a quanto accaduto nelle elezioni italiane a febbraio, è questo anche il dato politico dietro al fallimento elettorale di Monti nelle elezioni.

L’irrequietezza degli strati colti e urbani è tale, sottolinea oggi Jasper von Altenbockum, che se dovesse formarsi una coalizione nero-verde, con i Verdi al posto dei Liberali a fianco dell’Unione, il loro consenso potrebbe riversarsi nel partito Allianz fur Deutschland, trasformandolo così da formazione accademica e intellettuale in movimento d’opinione liberale e antipolitica di massa (come la Lega nei primi anni Novanta, si potrebbe aggiungere).


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