Euro o non euro. La minaccia dell’ingresso del partito euroscettico AfD alle elezioni tedesche è stato sventato, ma le voci contro la moneta unica continuano a farsi sempre più pressanti. Nel Manifesto di Solidarietà Europea, presentato a Bruxelles il 24 gennaio del 2013 e sottoscritto da economisti dell’eurozona e non, si sottolinea – come è stato ribadito ieri in un convegno organizzato alla Link University – come la fine della crisi nella regione potrebbe risultare dall’uscita dall’unione monetaria dei Paesi più competitivi e la creazione di un nuovo sistema valutario.
Costi e benefici di restare/uscire dall’euro
Ma quali sarebbero le vere conseguenze di un’uscita dall’euro per le due economie più forti, quella tedesca e quella francese? A spiegarlo durante la presentazione italiana del Manifesto è stata ieri Brigitte Granville, della School of Business and Management, Queen Mary University di Londra (Regno Unito). “Quel che è stato sottostimato è il costo dei benefici che deriverebbero dall’abbandono dell’euro. Si dice che se uscissimo dalla moneta unica ci ritroveremmo di fronte a disastri catastrofici. Ma ecco alcuni numeri utili per capirne l’impatto. La Germania vivrebbe una fase di deflazione. La Francia beneficerebbe di più rispetto ad altri dall’uscita euro,ma la Germania ci perderebbe parecchio”. Ma quello che secondo l’economista viene sottostimato sono le previsioni a lungo termine. Quale sarebbe il vero costo tedesco del sostegno alla Francia per l’eternità? “Per valutarne gli effetti si fa dunque ricorso a due ipotesi: un primo scenario in cui la Germania lascia la moneta unica, e un secondo in cui il gioco fiscale continua”.
Primo scenario: uscita della Germania dall’euro
Il marco reintrodotto, ha sottolineato la professoressa francese, avrebbe un valore apprezzato con margine significativo. Secondo Granville il declino dell’export tedesco ammonterebbe al 12%, equivalente al 6% di perdita in termini di Pil. E noi stimiamo una perdita annuale dello 0,6% di Pil. Con una calo complessivo del 16% in termini di Pil”. Ma ci sarebbero anche dei benefici. “Una valuta più forte potrebbe essere positivo perché la posizione fiscale tedesca migliorerebbe. E il vantaggio fiscale acquisito potrebbe essere usato per ricapitalizzare il settore bancario”. Ma anche le esportazioni tedesche potrebbero migliorare perché in un certo senso ora tedeschi hanno perso il loro potere d’acquisto. “Del resto la Germania ha un surplus del 6,5% di Pil. Ben al di sopra di livello di Cina e Giappone e il Fmi raccomanda un surplus di non oltre il 4%. La Germania quindi così contribuisce a uno degli squilibri più importanti nell’economia globale, ma questo viene spesso dimenticato”.
Secondo scenario, con trasferimenti fiscali che proseguono
Se la Germania restasse nell’euro il costo per Berlino ammonterebbe la 2% annuo del Pil tedesco. “Questa ipotesi – ha proseguito – si basa sulla condizione che nessuna riforma avrà luogo in Francia. E state pur sicuri che nessuna riforma verrà decisa a Parigi. L’aspetto preoccupante è che la scadenza del debito francese è di circa 7 anni, 15 anni quello inglese, ed equivalente al 16% del Pil tedesco che ha scadenza di non oltre due anni. Se le difficoltà economiche francesi continuassero, la Germania sarebbe obbligata a trasferire sempre più denaro al suo vicino. Il 16% del Pil è quindi il prezzo più basso da pagare per far fronte alle difficoltà economiche della Francia, a breve e lungo termine”.