Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori l’analisi di Edoardo Narduzzi uscita sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi Italia Oggi.
Praticamente all’unisono Fitch, S&P e Moody’s hanno abbassato il rating di Finmeccanica per portarlo al livello dei titoli spazzatura. L’ultima espressione dell’unilateralismo americano, in attesa che dopo la Cina anche Russia e Brasile si dotino di una loro agenzia di rating indipendente, post guerra fredda, è entrata a gamba tesa nella partita in corso sulle dismissioni del gruppo italiano della difesa. Sul piatto delle cessioni ci sono almeno due delle controllate della conglomerata Finmeccanica, Ansaldo Energia e AnsaldoBreda, e le agenzie di rating made in Usa non si sono lasciate scappare l’occasione di far sentire il proprio peso. Il pressing è finalizzato a costringere l’impresa italiana a cedere in fretta i suoi asset.
Ovviamente le stesse agenzie di rating per anni hanno tenuto tutt’altra linea di giudizio verso la stessa Finmeccanica. Eppure, quando il gruppo era gestito in maniera molto opaca con faccendieri di varia natura, dai Valter Lavitola ai Lorenzo Cola, che erano di casa ai piani alti o quando marito e moglie, addirittura, racchiudevano in famiglia la gran parte delle deleghe operative dell’elettronica e della difesa, non si ricordano giudizi preoccupati da parte del triumvirato del rating Usa verso una governance davvero tanto atipica in un gruppo quotato in borsa.
Oggi, invece, con l’Italia da troppo tempo senza un governo stabile e autorevole in grado di gestire con una compiuta strategia di medio termine la presenza industriale nei settori in cui opera Finmeccanica, i gestori del rating vanno giù piatti senza farsi troppi problemi.
Ingiusto il loro lassismo nell’era Guarguaglini nel criticare condotte non appropriate per una società quotata in borsa e ingiusta la severità odierna verso un gruppo che si è rimboccato le maniche ed è diventato molto più «aziendalista».
Finmeccanica, ovviamente, naviga nelle onde agitate della peggiore recessione dal secondo dopoguerra e sconta gli effetti di alcune acquisizioni fatte a premio quando «il mondo era diverso», cioè prima del 2008. Ma è anche vero che il gruppo vanta una posizione forte in alcuni comparti, come quello degli elicotteri o dell’elettronica militare, ed è in grado di riguadagnare competitività nel settore radaristico. Ovviamente ha bisogno di tempo, come sempre avviene quando si opera una profonda ristrutturazione. Il tempo per dar vita a un gruppo meno diversificato e più capace di presidiare con investimenti e competenze i settori core. Cioè quello che piace agli azionisti e che curiosamente Moody’s e le sue cugine americane non riescono ad apprezzare.