Che il mondo tradizionalista non straveda, come fanno invece milioni di fedeli, per Papa Francesco, non è certo una novità. Neanche il tempo di affacciarsi dalla loggia di San Pietro il giorno dell’elezione che sui principali siti internet tradizionalisti sono fioccate le critiche. Si rimproverava, infatti, a Papa Francesco di non aver seguito le indicazioni del cerimoniere monsignor Guido Marini, al quale il pontefice avrebbe detto: “Non siamo a carnevale”. Non è dato sapere se Papa Francesco si sia rivolto con queste parole al suo cerimoniere, ma certo si tratta di una chiara indicazione del clima che regna intorno a Francesco nel mondo tradizionalista. Il successore di Benedetto XVI ha però continuato per la sua strada, suscitando in questi mesi numerosi “mugugni” da parte dei seguaci di monsignor Lefebvre. E usando nei loro confronti, come dimostrano le ultime decisioni del pontefice, il “bastone e la carota”.
Questa messa (non) s’ha da fare
Con il motu proprio “Summorum Pontificum”, Benedetto XVI aveva, nel 2007, “liberalizzato” la possibilità di celebrare la messa secondo il rito antico, quello preconciliare. Se da un lato si sono subito formate alcune comunità di fedeli che hanno chiesto espressamente la celebrazione della messa antica, dall’altro lato non pochi vescovi si sono rifiutati di concedere ai fedeli la celebrazione della messa tridentina. Vescovi che, in molti casi, sono stati richiamati all’ordine da Papa Ratzinger che, per la gioia dei tradizionalisti, non ha mai nascosto la propria “simpatia” per la messa preconciliare.
E Papa Francesco non ha voluto scostarsi dalla via intrapresa dal suo predecessore. Verso la metà di maggio, infatti, i vescovi pugliesi avrebbero chiesto a Bergoglio di ritirare il motu proprio voluto da Ratzinger. Secondo monsignor Padovano, vescovo di Monopoli, la messa antica starebbe creando numerose divisioni all’interno della Chiesa. Papa Francesco, però, ha detto no, invitando comunque i vescovi a vigilare sugli estremismi di alcuni gruppi tradizionalisti, cercando di far convivere la messa preconciliare con l’innovazione. E il mondo tradizionalista ha tirato un sospiro di sollievo, con buona pace di chi pensava che con l’arriva del primo Papa gesuita nella storia della Chiesa la messa in latino sarebbe stata messa da parte.
Il commissariamento dei frati francescani dell’Immacolata: non solo la messa in latino
Se da un lato Papa Francesco ha confermato la bontà del motu proprio di Benedetto XVI, dall’altro lato Bergoglio ha ritenuto che non si dovesse esagerare. Questo deve essere stato il ragionamento del pontefice quando ha deciso di commissariare i frati francescani dell’Immacolata, da sempre vicini al mondo tradizionalista. Un gruppo (ristretto, secondo alcuni) di frati avrebbe infatti protestato in quanto, a partire dal 2007, all’interno della famiglia dell’Immacolata vi è l’obbligo di celebrare la messa secondo il rito antico. Un’iniziativa, quella dei frati, bollata da molti come “destabilizzante” e frutto di un “gruppetto ristretto”. Così, però, sembra non essere, come dimostrano i dati del questionario fatto girare all’interno dell’ordine e reso pubblico qualche giorno fa. Secondo il 61% dei frati, infatti, “lo stile di governo del superiore generale”, ovvero colui che ha imposto la messa in latino, ha creato “problemi” nel corso degli anni. E Papa Francesco deve aver dato ascolto alla maggioranza dei frati, generando le immancabili proteste dei tradizionalisti.
La “retrocessione” del cardinale Piacenza
È considerato da sempre la “punta di diamante” del mondo tradizionalista in Vaticano. Del cardinale Piacenza, infatti, si parla ogni qualvolta debba essere assegnata una carica di governo. Tanto che si parlò del porporato genovese anche come possibile Segretario di Stato al posto di Bertone. È notizia di pochi giorni fa la decisione di Papa Francesco di trasferire il cardinale Piacenza dalla guida della Congregazione per il Clero alla Penitenzieria Apostolica. Non certo una promozione, tenuto conto del fatto che negli ultimi mesi la Congregazione per il Clero, ora guidata dal diplomatico Beniamino Stella, ha visto crescere il proprio ruolo, soprattutto in virtù del controllo che ora esercita sulla formazione dei sacerdoti e sul seminario. Un ruolo, quello che ricoprirà in Penitenzieria, tanto importante quanto onorifico. Piacenza, genovese, è considerato come uno dei cardinali più conservatori presenti in Curia (insieme all’americano Raymond Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica), essendo cresciuto all’ombra del cardinale Giuseppe Siri e spesso si è scontrato all’interno del clero ligure con i preti più progressisti.
Augustine Di Noia: chi dialogherà ora con i lefebvriani?
Un po’ più inosservato è passato il trasferimento di Augustine Di Noia dalla Commissione Ecclesia Dei all’ex Sant’Uffizio. Di Noia, frate domenicano, era la persona incaricata da Benedetto XVI di negoziare il ritorno dei lefebvriani in comunione con la Chiesa di Roma. Di Noia gode di ampio credito all’interno del mondo tradizionalista, tanto che nei vari siti e blog legati alla messa antica si parla di lui come un uomo “rigoroso, ortodosso e vigile”. E fu proprio Di Noia ad inviare, tempo fa, una lettera alla Fraternità San Pio X con un accorato appello “a superare le tensioni esistenti all’interno della Chiesa”. Un estremo tentativo di dialogo, molto apprezzato dai tradizionalisti, del quale forse il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Gerhard Muller avrebbe fatto volentieri a meno. Nota è infatti, in Vaticano, la scarsa simpatia che l’arcivescovo nutre nei confronti dei lefebvriani. Ma è proprio notizia di questi giorni come Muller sia stato confermato da Papa Francesco alla guida della Congregazione. Se questo sia solo un caso, lo vedremo dalla piega che prenderanno i prossimi colloqui con la Fraternità San Pio X.