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Programma per il Ppe in Italia. Capito, Berlusconi?

Non è sbagliato quello che propone Carlo Pelanda nella sua recente intervista a Formiche.net. L’Italia ha bisogno di un grande Partito Popolare Europeo in Italia per entrare con forza e autorevolezza nelle discussioni che decidono del futuro dell’Europa. Per cominciare sarebbe bene se in occasione delle prossime elezioni europee ci fosse una unica lista elettorale che unifichi le forze italiane che aderiscono al Ppe (Udc e Forza Italia) e quelle nuove farebbero bene ad aderirvi (Scelta Civica).

In Italia i ceti medi, che sono di fatto la spina dorsale della economia e della società italiana, non riescono oggi ad esprimere un programma di governo. Questa è la sconfitta politica di Berlusconi. Ha enunciato il programma di rendere i ceti medi classe dirigente ma non è riuscito a realizzarlo. In buona parte non vi è riuscito perché non ha saputo stabilire I giusti rapporti internazionali. In Europa il partito dei ceti medi è il Partito Popolare Europeo. Per questo bisogna fare il Partito Popolare Europeo in Italia.

I ceti medi divengono classe di governo quando presentano al Paese un progetto di sviluppo complessivo attorno al quale possano raggrupparsi anche altri gruppi sociali. Possono farlo perché sono loro che affrontando la competizione sul mercato generano ricchezza per tutti. Per farlo, però, devono collocare le loro rivendicazioni proprie dentro una visione più grande.
Va bene dire che le tasse sono ormai insopportabili (è il grande tema su cui Berlusconi ha ammaliato i ceti medi). Bisogna però anche fare altre tre cose:
Proporre un nuovo Patto Fiscale in cui le aliquote siano basse ma le tasse le paghino tutti.
Avere idee chiare sulla riduzione della spesa pubblica e la capacità di resistere alle pressioni corporative che continuamente ne provocano l’ aumento.
Avere un progetto sulla ristrutturazione dello Stato sociale mantenendo alto il livello delle prestazione ed abbattendo I costi.
Avere un serio progetto per il recupero di competitività, cioè per riportare i posti di lavoro in Italia.
Tutti questi problemi si affrontano con una politica che sa agire contemporaneamente in sede nazionale ed in sede europea. Il soggetto che fa questa politica in Europa è il Partito Popolare Europeo.

In Italia molti si lamentano dei nostri difetti nazionali, ma poi si rivolgono rabbiosamente contro le regole europee che ci obbligano ad abbandonare una parte di questi difetti.
Un altro fattore di confusione nel nostro dibattito interno è il fatto che alcuni dei nostri migliori economisti hanno studiato negli Stati Uniti e conoscono solo superficialmente i trattati europei. I trattati che noi liberamente abbiamo sottoscritto (ed abbiamo pregato in ogni modo per poterlo fare mentre altri volevano escluderci) contengono un sistema di regole ed anche una filosofia parzialmente diversa da quella che vale sull’altra sponda dell’ Atlantico. Non so se sia migliore o peggiore ma certo è diversa e quindi alcune cose che si possono fare sull’altro lato dell’ Atlantico da noi non si possono fare. Sulla spesa in deficit l’Europa è molto più severa. È il modello cosiddetto renano, il modello della economia sociale di mercato. Stare in Europa avendo in testa un altro modello non è possibile. Il “modello renano” è incorporato nei trattati. Una battaglia per cambiare modello è destinata a sicura sconfitta ed a farci cacciare dall’Unione.

Che battaglia si può fare allora nel Ppe ed in Europa? Si può fare una battaglia che dica: il modello a noi va bene ma per poterlo realizzare abbiamo bisogno di un sostegno comunitario per recuperare il differenziale di competitività fra noi e gli altri maggiori Paesi europei. Su questo programma possiamo trovare comprensione e solidarietà. È, questo, il programma di cui il paese ha bisogno: comprimere la spesa corrente, aumentare la spesa di investimento, fermare la corsa del debito.

È il programma del Ppe, dovrebbe essere il programma del Ppe italiano.



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