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Dimissioni Pdl, tra il dire e il fare un mare di regolamenti

La procedura per l’accettazione delle dimissioni del singolo parlamentare è piuttosto complicata. Per quanto riguarda la Camera dei deputati, è l’articolo 89 del decreto del presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, a dettare le norme per le dimissioni: “È riservata alla Camera di appartenenza la facoltà di ricevere ed accettare le dimissioni di un parlamentare”. Quindi c’è anche la possibilità che la Camera non accetti le dimissioni. Cosa che del resto è anche accaduta un paio di volte: nel 1993 la Camera respinse le dimissioni del deputato Stefano Rodotà, mentre nel 1995 furono respinte quelle di Roberto Maroni.

Stessa cosa al Senato, la XVII legislatura ai suoi esordi vide l’aula di Palazzo Madama respingere le dimissioni della senatrice Giovanna Mangili del Movimento 5 stelle perché le motivazioni addotte erano troppo “lacunose e vaghe”. Nella scorsa legislatura, invece, fu il turno del deputato dell’Idv Renato Cambursano. Voleva dimettersi in contrasto con Antonio Di Pietro: le sue posizioni differivano sul voto al Governo Monti. Ma non ci riuscì: la Camera dei deputati votò contro la fine volontaria del suo mandato parlamentare. Passò al gruppo Misto. Insomma, anche volendo, non è detto che ci si riesca a incassare le dimissioni. Ed è per questa difficoltà che, sempre nella passata legislatura, ci fu chi chiese una modifica della legge. Si trattava del deputato Lorenzo Ria che tentò di rendere vincolante la volontà del deputato dimissionario.

Del resto è lo stesso articolo 23 della Costituzione che stabilisce che nessuna prestazione personale può essere imposta se non in base alla legge. Ma non c’è alcuna legge che imponga la permanenza in Parlamento, anche perché i parlamentari, sempre secondo la Costituzione, rappresentano la nazione senza vincolo di mandato, quindi rispondono soltanto alla propria coscienza e volontà. Nella sua proposta Ria sosteneva che “l’accettazione delle dimissioni è del tutto aleatoria in quanto viene fatta dipendere dalla votazione dell’Assemblea e, poiché riguarda persone, viene effettuata a scrutinio segreto mediante procedimento elettronico”. Secondo l’articolo 49 del regolamento della Camera, infatti, “sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni riguardanti le persone” mentre al Senato è l’articolo 113 a disporre le identiche misure.

La modifica di Ria tendeva a uniformare l’istituto delle dimissioni del deputato a quelle del parlamentare europeo, del consigliere regionale e comunale. “A livello locale, le dimissioni dei consiglieri comunali e provinciali – si legge nella relazione – diventano immediatamente efficaci all’atto della loro presentazione e – conseguentemente – irrevocabili. Allo stesso modo, il regolamento del Parlamento europeo prevede, in linea generale, che delle dimissioni dei propri membri venga informata l’Assemblea per una mera presa d’atto, senza alcuna votazione al riguardo”. Per impedire alle Camere di tenere prigionieri i parlamentari che volessero dimettersi senza riuscirci, basterebbe una piccola modifica normativa. Sarebbe garantita così l’autodeterminazione del parlamentare dimissionario. (SAF)


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