La parabola politica di Silvio Berlusconi sta finendo nel peggiore dei modi possibili. Le dimissioni intimate ai ministri del Pdl si fondano su una motivazione inconsistente: la decisione del premier Enrico Letta di non cassare l’aumento di un punto percentuale dell’Iva dal primo ottobre a causa delle minacciate dimissioni dei parlamentari del Pdl.
Le ossessioni fiscali del Pdl berlusconiano, però, se possono essere comprensibili considerata anche l’azione non particolarmente innovativa del ministero dell’Economia seppure retto, o commissariato, da una task force di Bankitalia, sono soltanto un pretesto per celare i veri obiettivi di Berlusconi: ricevere una qualche forma di escamotage normativo o presidenziale a un percorso giudiziario ormai segnato anche per altri processi in corso. E siccome avverte che non riceverà questo escamotage, dismette anche i panni del leader politico responsabile che ha fatto nascere il governo delle larghe intese e che per mesi ha sentenziato e garantito: le mie vicende giudiziarie non influiranno sull’esecutivo di responsabilità nazionale che ho auspicato fin dopo le elezioni.
Il redde rationem dettato dall’ex premier fa cadere la politica e le istituzioni italiane in un abisso foriero di incognite ma che ha una certezza: la conclamata irresponsabilità di una leadership che ha deciso di essere ricordata, evidentemente, per l’avventurismo di fine carriera.
Lo sgomento e la tristezza, in questo momento, hanno il sopravvento sull’indignazione.