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Intesa, perché le fondazioni sbagliano a silurare Cucchiani

E’ appena terminata a Londra l’annuale conferenza per gli investitori organizzata da Bank of America-Merrill Lynch sulle istituzioni finanziarie Europee. Gli amministratori delle maggiori banche vi partecipano numerosi e abbiamo sentito parlare di timidi segni di ripresa in Europa e di moderato ottimismo in alcuni Paesi come Francia e Spagna.

Questo però contrasta con le continue difficoltà dell’Italia dove il numero delle imprese in dissesto non accenna a diminuire con ovvie consequenze sulla qualità dei portafogli degli istituti di credito nostrani e sulla loro capacità di erogare credito e sostenere una ripartenza dell’economia.

La debolezza del nostro settore creditizio nelle sue piccole istituzioni sarà purtroppo brutalmente esposta nella prossima Asset Quality Review (AQR) di tutte le banche Europee da parte dell’EBA (European Banking Association).

In questo delicato scenario, e vista la forte instabilità politica che caratterizza il nostro Paese, vorremmo poter dire ai nostri colleghi gestori e analisti finanziari esteri di non preoccuparsi troppo visto che la maggiore banca Italiana è in mano a un management che gode di un pieno mandato da parte dei suoi azionisti. Purtroppo non è così e leggiamo da una settimana a questa parte che il Ceo Enrico Cucchiani – dopo essere stato riconfermato appena 2 mesi fa – potrebbe essere licenziato nelle prossime ore.

Come spiegare con parole semplici quello che sta accadendo ai colleghi gestori che in molti casi hanno investito nei titoli in questione e non leggono i giornali Italiani? Facciamo delle ipotesi.

Forse Cucchiani ha presieduto a un collasso del titolo Intesa San Paolo e la situazione non era più sostenibile per i suoi azionisti, danneggiati da 2 anni di sottoperformance. Non è cosi, e le azioni della banca si sono apprezzate del 50% dalla sua nomina, battendo nettamente lo Stoxx 600 Europa e quasi tutte le altre banche Italiane (e molte straniere).

Forse, mercato azionario a parte, gli indicatori di capitalizzazione e liquidità della banca sono in seria difficoltà  e quindi l’istituto ha bisogno di un immediato cambio di rotta e di leadership. Non è cosi e Intesa San Paolo gode di indicatori nella parte altissima di una ideale classifica Europea.

Forse sono nate frizioni con gli azionisti di riferimento perché l’amministratore delegato ha annunciato scelte aggressive di sostegno ad  aziende nazionali decotte pur di mantenerle in vita a tutti i costi  e/o di preservarne la proprietà Italiana.

Sembra logico che queste scelte possano contrastare con una razionale volontà di creazione del valore per l’azionista. Non è così e Cucchiani ha finora cercato di distanziarsi da questo tipo di politiche storicamente foriere di pesanti perdite per l’istituto.

Forse allora Cucchiani si è schierato apertamente a supporto di una politica di erogazione del credito “allegra” dove solo le relazioni personali possono giustificare rischi enormi e scarsamente remunerati  come nel caso Zaleski. Non è così e risulta difficile da spiegare come la sua opposizione a idee del genere possa invece essere una delle ragioni del suo allontanamento.

Forse Cucchiani ha proposto di sacrificare la solidità patrimoniale della banca al salvataggio di alcune realtà bancarie nazionali affondate da anni di disastrosa gestione e in procinto di essere progressivamente nazionalizzate. Non è così e l’amministratore delegato si è pronunciato fermamente contro ogni allargamento del perimetro di Intesa San Paolo nei confini nazionali.

Alla fine, ci diciamo, forse stiamo parlando di Fondazioni che controllano la governance della banca con un pacchetto azionario di maggioranza assoluta e che comunque non hanno mai necessitato di un ricorso al mercato azionario. In tal caso parrebbe ovvio che possano fare “come vogliono loro” e possano scegliere di dare il benservito all’amministratore delegato anche solo “perche  gli è antipatico” e senza dovere spiegazioni a nessuno. Non è così poiché le Fondazioni possiedono solo circa 1/5 del capitale e non hanno comunque esitato a chiedere aiuto al mercato dei capitali appena due anni fa. 

Il buon senso suggerirebbe quindi alle Fondazioni quanto meno di condividere i propri dubbi sull’ad all’esterno (ad appena due mesi dalla sua conferma) ma facendo così forse ne scoprirebbero l’indubbia popolarità presso i mercati finanziari.

In conclusione, noi non sappiamo cosa ipotizzare e come spiegare in lingua straniera cosa sta succedendo ai vertici della banca. Qualcuno ci può aiutare? Si tratta solo della prima banca Italiana….

Mister Fondi

(gestore italiano di un fondo azionario di base a Londra)


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