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Vi racconto la strage aziendale compiuta in Telecom

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento del manager e scrittore Riccardo Ruggeri uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Se scrivi di Telecom passata alla Telefonica, o di Alitalia in procinto di, hai una certezza, qualsiasi posizione tu sostenga, riceverai valanghe di critiche. Per ridurre il rischio, la prendo da lontano, dagli anni ’60, quelli della mia giovinezza, e ad Alitalia e Telecom (allora si chiamava SIP) aggiungo Fiat e Ferrero. Allora Alitalia era un fior di compagnia, la sua prima classe raggiunse livelli qualitativi tuttora insuperati, così la professionalità dei piloti, fu la prima ad avere una flotta tutta di aerei a reazione. SIP era all’avanguardia, il suo livello di servizio per gli utenti era superlativo (chi come me aveva il «duplex», era come divedere con uno sconosciuto il bagno, sapeva che le regole d’ingaggio erano garantite), dividendi e cotillon per i cassettisti. Ferrero, dopo essere diventata in 10 anni leader assoluta nel domestico, si era lanciata nell’internazionalizzazione, sfondando subito grazie a prodotti innovativi. Fiat era al massimo del suo splendore, una Istituzione paragonabile all’Arma dei Carabinieri, i giapponesi pregarono e pagarono «prezzi» alti perché le piccole Fiat non fossero esportate in Giappone.

Tutte avevano un’eccellenza, l’unica che è veramente discriminante nel business: i loro leader. Erano tutti di altissimo livello (un nome solo, Vittorio Valletta). Il fatto che due di queste aziende fossero dello Stato, era irrilevante (immaginate l’Eni di Mattei), perché il comportamento degli azionisti pubblici e privati erano identici, così quello dei rispettivi CEO. Certo, negli anni ’60 quelli della generazione «Baby Boomer» o andavano alle medie o all’asilo, osservandoli ci parevano dei bambini normali, erano come i nostri figli, nessuno di noi avrebbe mai immaginato che sarebbero diventati super laureati, super masterizzati, super curriculati, in realtà degli idioti arroganti, lo avremmo scoperto dopo, con le ovvie eccezioni che la statistica garantisce. La nostra generazione invecchiava, spesso degradava, la visione strategica ci abbandonava, la capacità di selezionare le nuove leve era in noi sempre più carente.

Costoro andarono al potere, fu la fine. Quel che è peggio lo stesso avvenne con la classe politica. I nostri coscritti politici, pur con tanti difetti, furono decimati in pochi mesi per via giudiziaria. Andarono al potere quelli della Società Civile, forse persone perbene, forse anche capaci nei loro mestieri, si rivelarono però subito degli sciagurati in termini di politica e di business. Vendere un’azienda è mestiere altrettanto difficile e complesso di comprarla, e di gestirla.

Mi piacerebbe che qualche team accademico facesse uno studio completo su queste quattro aziende, in assenza di ideologie, ma semplicemente con le logiche tipiche del management. Il periodo clou fu quello a cavallo degli anni ’90, quando Mediobanca (lo Stato laico) prende la decisione (sciagurata) che Fiat Auto non si fondi con Ford, e così la «uccide» e lo Stato, quello vero, affida a figure «sconcertanti» (i nomi sono noti e prestigiosissimi) le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Prego i critici di non parlarmi delle privatizzazioni: filosoficamente sono d’accordo con loro, io parlo di decisioni manageriali e di uomini, sono costoro, non la filosofia, che hanno portato al fallimento idee giuste, e con loro Alitalia e Telecom (di Fiat Auto parlerò dopo l’IPO).

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