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Vi spiego il successo di Papa Francesco (non solo in tv). Parla monsignor Viganò

E’ stato chiamato a dirigere il Centro Televisivo Vaticano (Ctv) il 22 gennaio, appena venti giorni prima della storica rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI. Monsignor Dario Edoardo Viganò, 51 anni, è l’uomo chiamato a proiettare l’immagine di Papa Francesco nel mondo.

Professore ordinario presso la Pontificia Università Lateranense e docente presso la Libera Università degli Studi Sociali (Luiss) di Roma, Monsignore Viganò è un esperto di cinema e comunicazione, nonché recentemente autore del libro “Il Vaticano II e la comunicazione. Una rinnovata storia tra Vangelo e Società” (Edizioni Paoline, 2013).

Come comunica, dunque, la Chiesa oggi? E come comunica Papa Francesco? Formiche.net ne ha parlato con Viganò.

Monsignore, una delle novità di Papa Francesco, secondo il Presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, Claudio Maria Celli, è che il nuovo pontefice sembra “colloquiare” con i fedeli, instaurando con loro un rapporto diretto. Sembra venire così meno quell’idea di imposizione ex cathedra della dottrina cattolica che spesso ha caratterizzato la Chiesa, almeno nell’immaginario collettivo. C’è quindi veramente qualcosa di nuovo nella comunicazione del Papa?
Certamente ci troviamo dinanzi a un Papa che proviene dall’Argentina, un Papa che fa i conti con una vita di grande serietà intellettuale ma di fatto spesa quasi per intero tra la strada e tra la gente. Questa biografia personale lo caratterizza in maniera specifica facendo sì che la sua comunicazione non sia unidirezionale bensì dialogica. Spesso avviene che, quando vi sono incontri oceanici, il Papa non solo chieda il silenzio ma ponga anche una domanda, ottenendo immediatamente una risposta da tutti i fedeli presenti. E dal punto di vista del Centro Televisivo Vaticano questo è un aspetto fondamentale dal momento che la regia deve aiutare lo spettatore a entrare nel cuore di questo pontificato.

Giovanni Paolo II aveva fatto dei gesti uno degli elementi portanti della propria comunicazione e del pontificato. Benedetto XVI tendeva, invece, a comunicare in modo particolare attraverso la liturgia. Qual è lo strumento principale utilizzato da Papa Francesco per trasmettere il proprio messaggio?
Direi senza dubbio la verità e la semplicità delle sue parole e dei suoi gesti. In varie occasione, infatti, come nel caso della borsa che si è portato a meno mentre saliva sull’aereo, Papa Francesco ha voluto dire: abituatevi alla normalità. Ma cosa vuol dire con ciò? Significa che lui ha la forza delle sue parole, che non sono mai parole gridate dato che la forza di tali parole sta nella densità testimoniale. Ogni sua parola, infatti, ha il peso della sua vita. Questa è la forza del suo annunciare il Vangelo. Ma ci sarebbe anche un secondo elemento.

Ovvero?
Francesco è un uomo che privilegia indicare la strada della salvezza piuttosto che elencare i codici di diritto canonico. E non bisogna anche dimenticarsi di come il Papa stia svelando non una novità ma il cuore proprio dell’essere Chiesa, ovvero la misericordia.

Da qualche tempo uno degli strumenti utilizzati dal Papa è quello dei social media. Proprio in questi giorni si è conclusa la plenaria del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali dedicata a “La rete e la Chiesa”. Quale è il rapporto tra la Chiesa e l’ambiente digitale? E, soprattutto, la rete rappresenta per la Chiesa un’opportunità o una minaccia?
Come in tutte le cose, direi entrambe. E’ sicuramente una grande opportunità ma insieme mette in conto dei pericoli. Ma, d’altra parte, come dice Papa Francesco, “preferisco una Chiesa che uscendo per strada abbia qualche incidente piuttosto che una Chiesa museale”. La rete è certo un’occasione straordinaria per creare gruppi di interessi, per ascoltare anche quelle che sono le ragioni dell’altro. E proprio l’ascolto dell’altro permette talvolta di affinare la ricerca spirituale. La rete è quindi una grande chance, una chance addirittura molto feconda quando i social network predispongono all’incontro personale con un testimone della fede. Certo, vi è anche il pericolo perché così come nelle relazioni può esservi qualcuno che rifiuti tale relazione, qualcuno che la infanga e la calunnia, così anche in rete questo è possibile.

Recentemente si è assistito ad una vera e propria “offensiva mediatica” da parte della Chiesa (interviste, lettere, ecc.). Non teme che questo eccesso di comunicazione possa finire per sminuire, in un certo senso, il messaggio evangelico? Nel senso che si dia più importanza allo strumento che al suo contenuto..
Rimanendo al caso più recente, ovvero quello delle lettere al quotidiano La Repubblica, forma e sostanza non si distinguono molto. Il fatto che un Papa prenda sul serio le ragioni di un non credente, come il fondatore di Repubblica, e le consideri talmente serie al punto da impegnarsi con una lettera vuol dire che sta costruendo una relazione. E in tale relazione il Papa vuol dire: “io ti ascolto al punto tale che mi prendo la briga di giocare la mia libertà e la mia responsabilità”. E tutto ciò non è semplicemente una forma ma anche un contenuto. Sta infatti a significare che io sono attento all’altro e l’alterità come luogo dell’amore diventa appunto il messaggio.

Parlando invece delle telefonate, si dice che Papa Francesco le abbia chiesto di spiegare ai giornalisti che le sue telefonate non sono una “notizia”. Non è però cosa di tutti i giorni che un Papa telefoni ad uno sconosciuto…
Questo è sicuramente vero. Il Papa mi ha chiesto quanto da lei correttamente riportato in quanto per lui non è una novità, l’ha sempre fatto. Tra l’altro mi ha anche confessato questo: “Meno male che non sanno tutte quelle che ho fatto”. Papa Francesco chiama una persona anche se non l’ha mai vista dato che se percepisce, nella lettura di una lettera o di un messaggio, che lì c’è la possibilità di un incontro importante per il Vangelo, allora è come se conoscesse da sempre questa persona. Ecco perché, per lui, questa non è una notizia.

Nel corso del Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti Mario Calabresi, direttore del quotidiano La Stampa, ha dichiarato che “è un errore dei giornali analizzare la Chiesa con le stesse coordinate della politica”. Quali sono dunque le coordinate corrette con le quali bisogna “parlare” di Chiesa?
Quanto detto dal direttore Calabresi non è certo una novità nel senso che già è stato detto sia da Benedetto XVI che da Papa Francesco in occasione dell’incontro con i giornalisti dopo il conclave. Narrare gli eventi della storia è sempre complicato e bisognerebbe avere una preparazione che non sempre tutti i giornalisti hanno. Narrare la Chiesa, invece, presuppone un’ermeneutica spirituale. Guardiamo al conclave: tutti i giornali hanno fatto il box-office dei papabili. Il problema è che questa è una logica mondana, non la logica della Chiesa. Il Papa, infatti, non si fa sulle cordate, sui vantaggi, sul possesso dei voti ma si fa obbedendo in maniera collettiva come collegio di cardinali a quella decisione che lo Spirito Santo ha già preso e che i cardinali elettori sono chiamati a comprendere.

Un’ultima domanda. Quando si parla dei mezzi di comunicazione della Santa Sede, spesso ci dimentichiamo proprio di citare il Centro Televisivo Vaticano. Qual è stato il riflesso di Papa Francesco sul lavoro del Centro da lei diretto?
Innanzitutto, tenga conto che tutte le immagini del Papa che si vedono nel mondo passano dal Centro. E’ chiaro che non essendo un vero e proprio canale televisivo, bensì un centro di produzione, il Centro Televisivo Vaticano non può essere considerato come uno strumento della comunicazione del Papa. Nonostante ciò, il riflesso di Francesco sull’attività del Centro è stato molto rilevante. Abbiamo infatti dovuto correre ai ripari dal punto di vista tecnologico. Riceviamo così tante richieste da tutto il mondo che stiamo investendo molto sulla possibilità di gestire in contemporanea ben otto satelliti in entrata ed altri otto in uscita. Le richieste delle immagini del Papa arrivano da tutto il mondo ed in maniera sempre più “aggressiva”, nel senso che tutti vogliono tutto.


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