Sei un fannullone, anzi un accentratore infruttuoso, uno che si circonda di persone di fiducia e snobba i manager interni, che svacanza fra Stati Uniti e Germania, e per di più vuole coinvolgere nuovi azionisti esteri da affiancare alle fondazioni e aspira finanche ad avere rapporti istituzionali pure con le autorità finanziarie e monetarie.
Ovviamente semplifichiamo e sintetizziamo, ma queste sono le accuse che le fondazioni bancarie (la milanese Cariplo e la torinese Compagnia di Sanpaolo), e in primis il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa, Giovanni Bazoli, hanno scaraventato sul consigliere delegato Enrico Cucchiani, se si leggono con attenzione i (pochi) articoli che la stampa quotidiana ha dedicato al siluramento del capo azienda della prima banca italiana; non proprio una notizia di poco conto.
Ma ovviamente i toni tipicamente soffusi – o melliflui e viscidi, dipende dai punti di vista – del mondo bancario hanno prodotto motivazioni ufficiali sul defenestramento che stridono con le veline aziendali e con le ricostruzioni giornalistiche.
Ecco quello che si legge nel comunicato stampa di Intesa della sera di domenica 29 settembre: Intesa Sanpaolo esprime “pieno apprezzamento per i risultati conseguiti da Enrico Tommaso Cucchiani, per la professionalità e lo standing internazionale messi a disposizione del gruppo”.
Pieno apprezzamento? Per i risultati conseguiti? E allora perché l’apprezzato Cucchiani viene silurato? Misteri della finanza.
Poi, fors’anche per un cortese invito della Consob e di Borsa Italiana, ieri si è appalesata una precisazione di Intesa Sanpaolo: la banca presieduta da Bazoli ha affermato che Cucchiani ha lasciato “alla luce della necessità per la banca – nel contesto economico attuale e prospettico – di un maggior grado di incidenza sulle dinamiche operative aziendali e di raccordo delle azioni strategiche e gestionali, al fine di accelerare l’effettiva realizzazione delle potenzialità del gruppo”.
Urge traduzione? Ecco quella del vicedirettore del quotidiano La Stampa, Francesco Manacorda, giornalista di economia e finanza: “Cucchiani – è la tesi – non si sporcava abbastanza le mani nella gestione della banca e non era in grado di trasformare in decisioni manageriali le strategie decise dagli organi sociali. E siccome i tempi sono duri e la banca deve funzionare al meglio, ecco la decisione”.
Bene, tutto chiaro. O quasi. Le perplessità sia sulle veline aziendali che sui comunicati stampa restano tutti, come abbiamo scritto e come ha analizzato anche Fabio Bolognini con dovizia di particolari.
Ciò detto, le perplessità nascono anche dal comportamento del consigliere delegato. Continuiamo a leggere Manacorda: “Si è dimesso sì dalle cariche di consigliere delegato e di Ceo, preparandosi a incassare la liquidazione da 3,6 milioni circa che gli spetta, ma non ha lasciato il posto di direttore generale dell’istituto. Dalla direzione generale, ha detto, si dimetterà solo tra sei mesi, nel marzo 2014. Così maturerà i requisiti per la pensione, incasserà nel periodo circa 1,6 milioni lordi di stipendi e manterrà alcuni benefit come la vettura con autista”.
Possibile che un capo azienda di una primaria banca, oltre a incassare accuse devastanti (ricapitoliamo: fannullone, accentratore, svacanzatore, anti sistemico, sodale occulto di potenziali soci esteri ecc) debba pure incassare, e questuare, qualche mese di stipendio ancora da direttore generale per maturare la pensione?
Sarà, come scrive Ugo Bertone sul Foglio, che Cucchiani ha un “senso tedesco della squadra” ma questo elemosinare, dopo essere stato cordialmente cacciato, è molto italiano. O no?