Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori il commento di Marco Bertoncini apparso sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi.
Quel che non regge, nei progetti di Silvio Berlusconi, è un improprio uso dell’esclamativo. Da sabato la sua sfida è iterata con scarse varianti: «Subito al voto!», magari addolcito con un più realistico «Voto al più presto!». C’è un grave limite: il centrodestra non ha armi per ottenere le elezioni anticipate. Né gli serve l’invocazione esclamativa.
B. ha usato, nel volgere di due giorni, prima un innovativo strumento politico (le dimissioni dei parlamentari), poi un collaudato metodo istituzionale (le dimissioni dei ministri). E ora? La pressione, certo, è arrivata a livelli mai prima sperimentati; però non sembra proprio che essa rechi con sé le attese elezioni.
Senza dubbio, nemmeno il più berlusconiano fra i tifosi del Cav reputa che si possa arrivare alle urne in novembre. Diverso discorso riguarda la primavera. Ma con quale legge si andrebbe allora alle urne? È arcinoto che la bramosia elettorale di B. è avvinta al permanere, intatto, del porcellum, sia per la formazione delle liste (i futuri eletti li sceglie lui personalmente, per crearsi una corte di solidi sostenitori e di sicure amiche, come fu esemplarmente Nicole Minetti), sia nella convinzione (fondata su sondaggi amici) di strappare il primo posto di coalizione e quindi ottenere quel 55% dei seggi che il centrosinistra è riuscito a portare a casa col 30% dei voti. E se, invece, passasse una legge che preveda il doppio turno (sgradito al centrodestra) o il collegio uninominale (dannoso al centrodestra)?
Non sappiamo se, come ha notato Gaetano Quagliariello, il Cav abbia sprecato la bomba atomica. Però non si vede quali vantaggi possa ricavare dalla crisi, sia per la propria condizione giudiziaria, sia per l’avvenire politico di Fi 2.0.