L’inizio della fine? Lo shutdown del governo americano è iniziato. L’accordo tra Camera e Senato, dopo una giornata intensissima e tesa, non è stato trovato e a mezzanotte del 30 settembre, le 6 del mattino in Italia, è scattata la paralisi federale con la parziale chiusura delle agenzie governative.
Una sconfitta per l’America, certo. Ma anche per i democratici del presidente Barack Obama che puntano ad estendere lo Stato sociale, o solo per i repubblicani, a cui la popolazione addossa la colpa del blocco?
E ancora: gol o autogol per il presidente fiaccato anche dalle tensioni internazionali? La partita è più politica che economica, e in ballo, oltre al destino delle agenzie federali, ci sono le elezioni Midterm del 2014.
Le conseguenze dello shutdown
Ma cosa comporta il blocco deciso dal Congresso? Migliaia di lavoratori potrebbero essere lasciati a casa senza stipendio, con danni economici per centinaia di milioni di dollari. L’ultima volta che si è presentata una situazione simile era nel 1996 sotto l’amministrazione di Bill Clinton. Il presidente Barack Obama ha firmato un provvedimento che assicura che i militari dell’Esercito in servizio attivo e della Guardia Costiera continuino a essere pagati anche durante lo shutdown.
La trattativa che non c’è stata
Lo shutdown avrebbe potuto essere evitato certo, ma, per i repubblicani, solo se si fosse rimandata l’entrata in vigore di alcuni punti dell’Obamacare. Un compromesso che i democrats hanno rispedito al mittente. Qualche minuto prima della mezzanotte, l’Office of Management and Budget della Casa Bianca aveva emesso una nota rivolta alle agenzie federali per chiedere l’avvio delle procedure per “l’esecuzione dei piani per sospendere in modo ordinato le loro attività”.
Le navette che hanno portato al blocco e la rinuncia democratica
Nella serata di lunedì il provvedimento è tornato dunque alla Camera, che ha approvato con 228 voti favorevoli e 201 contrari un testo che avrebbe evitato lo shutdown, ma reintroduceva il rinvio di un anno di alcuni punti cruciali dell’Obamacare, come l’individual mandate, che obbliga tutti gli individui, tranne gli esentati per motivi economici o religiosi, a stipulare un’assicurazione sanitaria entro il primo gennaio 2014.
Il Senato, con un voto rapidissimo arrivato meno di un’ora dopo di quello della Camera, ha nuovamente respinto il testo con 54 voti favorevoli e 46 contrari, rispedendolo indietro per l’ennesima volta senza la parte che riguarda l’Obamacare. A quel punto la Camera ha rinunciato a mettere ai voti nuovamente un testo analogo ai precedenti, di fatto spianando la strada allo shutdown.
I prossimi appuntamenti delicati
La guerra tra repubblicani e democratici aveva già cambiato piano sin dall’inizio delle trattative. Dal nodo dell’Obamacare, al di chi è la colpa, come sottolinea il Washington Post. Obama ha accusato i repubblicani di usare il testo di bilancio come ricatto per rimandare la riforma sanitaria. No, ha risposto il Gop, la colpa è dei democratici che hanno rifiutato di negoziare. Una battaglia che dimostra l’importanza di convincere l’opinione pubblica allo scattare del primo shutdown degli ultimi 17 anni. E il vincitore di questa partita potrebbe avere la meglio anche nei prossimi dibattiti sull’aumento del tetto del debito e sulla legge sull’immigrazione, così come alle elezioni per il Congresso del prossimo anno.
Il parallelo con la linea Clinton
“Proprio adesso i repubblicani continuano a legare il finanziamento del governo a battaglie ideologiche come il divieto della contraccezione per le donne o il rinvio dell’Affordable Care Act, e il tutto per salvare la faccia dopo aver fatto promesse non mantenibili all’estrema destra”, ha detto Obama. E la decisione e i discorsi, spiega BusinessWeek, riecheggiano quelli del presidente democratico Bill Clinton, che portarono all’ultimo shutdown nel 1995. “I repubblicani mettono l’ideologia davanti al buon senso”, aveva dichiarato all’epoca Clinton. Poco da stupirsi, se si considera che parte dello staff di Obama è lo stesso che aveva gestito la crisi degli anni Novanta. Ma all’epoca, durante le trattative, non si sapeva di andare incontro ad una vittoria. Considerazione preziosa che invece muove ora i passi di Obama.
“Alcuni passaggi nel discorso di Obama ricalcano quelli di Clinton”, ha dichiarato Leon Panetta, ex segretario alla Difesa di Obama e capo del personale di Clinton durante l’ultimo shutdown. “Abbiamo imparato una lezione davvero difficile”. E come Clinton, Obama ha insistito sui suoi progressi nella riduzione del deficit così da annientare le accuse dei repubblicani.
La reazione dell’opinione pubblica
La sconfitta stavolta, come al tempo di Clinton, sembra ricadere sui repubblicani, a cui, secondo un sondaggio condotto da Washington Post-Abc News, la popolazione stanca addossa la colpa del mancato accordo. Solo il 26% degli americani approva la linea dei parlamentari repubblicani, mentre il 34% approva la condotta dei democratici e il 41% l’approccio duro di Obama. Ma l’insofferenza della popolazione è più generale. Il 27% degli americani incolpa e disapprova la condotta di democratici, repubblicani e di Obama.
Le elezioni di Midterm
I democratici quindi sono riusciti a convincere la popolazione delle colpe dei repubblicani. Ma si tratta davvero di un punto a favore di Obama nelle elezioni di Midterm del 2014? I parlamentari repubblicani rappresentano distretti di sicura e solida maggioranza Gop. Poche speranze perché lì prevalgano i democratici.