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Berlusconi ha perso il treno della rivoluzione liberale

Pochi probabilmente ricordano il colossal Napoleone a Austerlitz di Abel Gance. È un filmone storico di oltre tre ore del 1960, quando l’industria cinematografica pensava di contrastare la televisioni con grandi schermi, parate di attori molto noti, e musica commissionata a compositori di rilievo. Gance era anziano; aveva già prodotto nel 1927 un Napoléon che durava sette ore ed in cui si utilizzavano ben tre schermi per mostrare la traversata delle Alpi; nel 1934 avevo reso la pellicola sonora, utilizzando, per la prima volta nella storia del cinema, la stereofonia.

Pochi probabilmente ricordano la battaglia di Austerlitz, detta anche battaglia dei tre imperatori (perché furono presenti sul campo Napoleone, imperatore re dei francesi, lo zar Alessandro I e l’imperatore del Sacro Romano Impero Francesco II. Fu l’ultima e decisiva battaglia svoltasi durante la guerra della terza coalizione. Fu combattuta il 2 dicembre 1805 nei pressi della cittadina di Austerlitz (in Morava nei pressi di Brno) tra la Grande Armée francese composta da circa 73mila uomini comandati dall’imperatore ed un’armata congiunta, formata da russi e austriaci, composta da oltre 85mila uomini, comandata dal generale russo Michail Kutozov, con la collaborazione del generale austriaco Franz von Weyrother.

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La battaglia, conclusasi con una schiacciante vittoria dei francesi, per l’abilità tattica e strategica dimostrata e per i risultati raggiunti, rappresenta il più grande successo conseguito da Napoleone nella sua carriera militare. Nel tempo assunse una statura quasi mitica nell’epopea napoleonica. Una delle maggiori stazioni ferroviarie di Parigi venne intitolata al luogo della battaglia.

Perché parlare della battaglia e del film di Abel Gance in parallelo con la ricostituzione – dopo un complesso psicodramma che ha fatto tremare italiani e stranieri – del Governo Letta?

Nel lavoro di Gance, un tema domina la figura di Napoleone, interpretato da Pierre Mondy, entrato in guerra perché Londra aveva rotto il trattato di pace con Parigi: la vittoria era necessaria perché alla prima sconfitta i suoi lo avrebbero abbandonato.

Non so se Silvio Berlusconi conosca la storia napoleonica e se abbia mai visto il film di Abel Gance. Non sembra, però, che abbia tenuto conto di quanto era nel midollo di Napoleone. Nel 1995, perse la “battaglia delle pensioni” perché si rifiutò di popular casino online combatterla sino a fondo e di concedere, nel contempo, il federalismo alla Lega.

Lo scrisse allora lo stesso Indro Montanelli, non certo un suo amico od un suo estimatore in un editoriale de La Voce. La sua Austerlitz furono le elezioni del 2008, quando, per la prima volta dalla fondazione del giornale, lo stesso Corriere della Sera si era schierato contro di lui e la coalizione da lui guidata.

L’esito era stato una solida maggioranza sia alla Camera sia al Senato: aveva tutte le carte per varare il programma di liberalizzazioni, di privatizzazioni, di riduzione del peso tributario con cui già nel 1994 aveva vinto le elezioni, sorprendendo tutti. Doveva andare dritto per la sua strada: i gruppi di pressione che premevano per questo e quello si sarebbero neutralizzati a vicenda e comunque non avrebbero potuto presentare il conto prima del 2013.

Doveva avere presente che non poteva permettersi di perdere neanche una battaglia, neanche piccola o privata poiché la sanzione sarebbe stata la perdita del suo carisma – la sua arma principale, così come era stata l’arma principale che aveva concesso a Napoleone di portare i francesi anche in imprese folli. Doveva, quindi, curare le proprie frequentazioni dato che in politica le chiacchiere sulla moglie di Cesare fanno male pure all’Imperatore.

Doveva evitare qualsiasi malinteso con il suo maggiore alleato, diventato Presidente della Camera, nonostante i “colonnelli” di un tempo di quest’ultimo scalpitassero per affrancarsi da tutele dirette od indirette.

Un anno dopo la battaglia di Austerlitz, Napoleone conobbe Maria Walewska (ebbi il piacere di cenare nel 1996 in quella che era stata la sua villa, uno dei pochi edifici rimasti in piedi a Varsavia dopo la furia hitleriana). Se ne innamorò perdutamente. La principessa – dicono gli storici – fu una delle determinanti (non la principale) nel suo errore fatale: la campagna di Russia. Maria Walewska, che lo seguì all’Elba, ed era sul molo quando Napoleone partì per Sant’Elena (le era stato impedito di seguirlo in esilio, era profondamente “patriota” e considerava i russi la sciagura della sua Polonia.

Non sta certo ad un “chroniqueur” dire se c’è una Maria Walewska nelle vicende di Silvio Berlusconi. Una volta persa la prima battaglia, però, (e ne ha persa più di una) un recupero non pare nelle carte.



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