Non c’è spazio per Silvio Berlusconi nel fronte moderato che esce rafforzato dal voto di fiducia del governo Letta. Ne è convinto Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc e da sempre uno dei più forti promotori di una comune casa dei popolari europei anche in Italia.
Professore, la sua “profezia” sull’unità dei moderati con il voto di fiducia di ieri sembra avverarsi. È più vicina ora una battaglia comune in nome del Ppe?
È certamente più vicina. La mia non era una profezia ma un’ipotesi di lavoro su cui stiamo lavorando da tempo. L’Italia non si stabilizza se non trova un punto di riferimento per l’area moderata che è quella maggioritaria nel Paese. Vent’anni fa con il crollo della Dc, essa è rimasta senza rappresentanza, Berlusconi ha saputo unirla attorno alla sua persona. Ma, come scrissi al Corriere della Sera, questa è una zattera che ha salvato i moderati dalla dispersione, ora bisogna costruire la nave.
Su questa nave può salire Berlusconi o è invitato solo il nuovo fronte “diversamente berlusconiano” emerso negli ultimi giorni?
Bisogna fare un partito democratico che per radicamento sociale e per i valori di riferimento non può che collocarsi nel Ppe. Un partito in cui il potere sia contendibile, in cui esistano modalità per selezionare la leadership e il programma di governo. Berlusconi disse nel 1994 di volerlo fare e invece non è stato così. Se lo avesse fatto, la storia sarebbe stata diversa e non ci sarebbero stati i sommovimenti interni al centrodestra che si sono acutizzati negli ultimi giorni.
Si aspettava una spaccatura così clamorosa tra filo-governativi e non nel Pdl?
Il Pdl non è riuscito a costituirsi effettivamente come movimento democratico ma come movimento a conduzione berlusconiana. Quando c’è stata una decisione importante da affrontare, non è stato fatto secondo le regole della democrazia. Non si è mai potuto presentare un’ipotesi di cambiamento di linea e di leadership, chi era in disaccordo era fuori. L’unica possibilità è un chiarimento definitivo su questo.
E Alfano è diventato “il traditore”…
Nel Pdl si è perpetrata la “sindrome del tradimento”. Ogni dissenso anche legittimo viene tacciato di tradimento. Ora bisogna uscire da questa mentalità e porsi insieme il problema di organizzazione dell’area moderata.
Che confini dovrà avere? Forza Italia ne farà parte?
Il Pdl sotto la guida berlusconiana ha potuto sommare due culture politiche molto diverse: quella popolare e quella populista. Possono convivere? Io credo di no, dovranno inevitabilmente separarsi. Il partito popolare in tutta Europa ha chiari confini a destra, rispetto a forme populiste. Io credo che bisogna aprire il dialogo per favorire la convergenza dei popolari nel Pdl che ha come riferimento Alfano, nell’Udc e in Scelta civica.
Pensa a un partito ex novo o a un’alleanza di partiti che mantengono la loro autonomia?
Lo vedremo, il processo politico che vorrei si fonda sula libertà della persona. C’è però una scadenza politica all’orizzonte: le Europee. Siccome un’altra tipicità dei popolari è l’europeismo, auspico una lista unica del Ppe in Italia nella quale far confluire tutte le forze che fanno riferimento al Ppe. In questa convergenza, faccio fatica a vedere gli antieuropeisti del Pdl.
Il confine a sinistra potrebbe includere i Democratici con cui condividete le larghe intese?
I popolari sono alternativi alla sinistra. Ma ciò non impedisce che possano collaborare per superare momenti di grave crisi come quello attuale. E ciò porta alla grande coalizione come sta succedendo in Germania o come è già successo in Grecia.
Il governo Letta adesso è più forte?
Le larghe intese che escono rafforzate dal voto di fiducia di ieri sono il frutto di una giusta operazione politica che è avvenuta in parlamento.
Qualcuno direbbe in parlamento, non tra gli elettori…
In altre circostanze sarebbe giusto andare al voto per riconfermare questa maggioranza. Ora sarebbe disastroso perché è fondamentale catturare la ripresa. Potrà ricevere conferma popolare alle Europee e in caso accadesse, penso sia giusto spostare più avanti l’orizzonte del governo fino alla fine naturale della legislatura nel 2018.
Con quali traguardi?
Dobbiamo essere più ambiziosi. Se servisse uno slogan sarebbe: “L’Italia prima di tutto”. Ciò significa riforme istituzionali ma soprattutto economiche. La grande battaglia da impostare adesso è quella della produttività.
Le continue minacce di staccare la spina al governo da parte di Brunetta & Co. ora non funzioneranno più?
Dipende dall’energia che Alfano e chi ha iniziato questa battaglia con lui sapranno mettere, dall’intelligenza e dalla generosità con cui Udc e Sc sapranno tendere loro la mano. Ovviamente non basta. Occorre stimolare una nuova partecipazione politica nel popolo cristiano e nel mondo del lavoro, delle piccole e medie imprese, spesso ignorate dalla politica. Il programma c’è già, è quello del Ppe e si basa sul ritorno ai valori, sulla centralità del lavoro, sulla solidarietà, sulla ridefinizione dei limiti dello Stato, sul risveglio della società civile. Si tratta di un’occasione storica per il Paese. Non la possiamo perdere.