Possibile che i problemi della Chiesa siano stati tutti risolti dall’avvento di Papa Francesco? E’ questa la domanda provocatoria che pone subito Andrea Riccardi, professore emerito di storia contemporanea all’Università di Roma Tre, ex Ministro per la Cooperazione internazionale, ma soprattutto fondatore della Comunità di Sant’Egidio e tra i massimi studiosi della Chiesa e del papato, nel giorno della presentazione del suo libro La sorpresa di Papa Francesco. Crisi e futuro della Chiesa (Mondadori, pagine 209, euro 17,00). “No, non è possibile”, risponde con decisione. “Ma è un fatto – prosegue – che per cominciare il Papa abbia ridato alla parola ‘simpatia’ la sua centralità nella Chiesa”, anche attraverso una nuova qualità della comunicazione. E spiega: “Per simpatia non intendo la capacità di rendere gioiose e serene le persone, o per lo meno non è solo questo. Penso piuttosto al suo significato etimologico di compartecipare alla sofferenza e agli stati d’animo degli altri, entrando appunto in comunione con chi si ha davanti”.
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Una ventata di freschezza
Si tratta di una disposizione d’animo, grazie alla quale – prosegue Riccardi – dal 13 marzo scorso siamo testimoni di “una ventata di freschezza umana ed evangelica”. Una considerazione che si inserisce non tanto in un orizzonte di confronto con il diretto predecessore, anche perché – come ricordava Vittorio Messori sul Corriere della Sera di mercoledì – “ogni confronto tra papi è irrilevante, in una prospettiva cristiana”; quanto piuttosto perché quella “freschezza” la si comprende meglio se viene inserita all’interno dello specifico contesto nel quale è maturata. Ovvero quello della rinuncia di Benedetto XVI che, dice Riccardi, “ha mostrato la grandezza dell’intelligenza europea, nel capire che l’Europa da sola non ce la fa più” e che oggi ha bisogno dello spirito di un nuovo mondo, come l’America Latina, per risollevarsi dalla crisi nella quale è caduta.
La “doppia” sorpresa di Papa Francesco
Ecco che, allora, la sorpresa di Papa Francesco, quella legata all’elezione di un cardinale, come Bergoglio, sconosciuto ai più e rimasto fuori dalle previsioni di bookmaker e vaticanisti, diventa “doppia”, spiega il fondatore di Sant’Egidio, e va letta in successione alla sorpresa, forse ancora maggiore, della rinuncia di Ratzinger, senza la quale il papato di Bergoglio non può essere capito, e senza la quale, in definitiva, esso non avrebbe probabilmente avuto origine. Ne dà una lettura provvidenziale anche il professor Guzman Carriquiry, uruguaiano e oggi, unico laico così in alto nella gerarchia vaticana, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina: “E’ Dio – dice – che sa bene quando far scattare la Provvidenza nel mondo: Francesco quindi è un Papa imprevisto, nel senso che è la novità capace di scardinare i nostri schemi prefissati”. Ma attenzione, è il suo ammonimento, oltre a essere imprevisto è anche “imprevedibile”.
Il (non) progetto di Bergoglio
Questo fa sì, chiarisce con una metafora calcistica padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e gesuita come Bergoglio, “che Papa Francesco vada marcato a vista”: per capire le sue opere e inserirle in una corretta lettura del pontificato, insomma, occorrerà procedere con il passo del cronista, più che dello storico. “Molti – prosegue Spadaro – credono erroneamente che il Papa abbia le idee chiare su tutto, o almeno abbia chiaro il punto di arrivo. Ma non è così. Intanto perché questo Papa vive il futuro della Chiesa nella dimensione del dialogo con gli altri e della preghiera; poi perché – come lo stesso Bergoglio ha ricordato nella lunga intervista proprio a Civiltà Cattolica – un gesuita deve essere una persona dal pensiero incompleto, il gesuita pensa sempre guardando l’orizzonte verso il quale deve andare”. Non il punto di arrivo, quindi, ma l’orizzonte dove, secondo Spadaro, si colloca la Chiesa di Papa Francesco, una Chiesa “samaritana, paterna (nel senso di dialogante e vicina), militante nella lotta contro il demonio della mondanità”.
La riforma della Chiesa e il “magistero della misericordia”
Per questo, nonostante il Papa tenda a minimizzarlo, almeno a parole, “non si potrà eludere il tema centrale della riforma del governo della Chiesa”, dice il direttore di Repubblica, Ezio Mauro. “Del resto – chiosa – Benedetto ha lasciato perché non più nel vigore delle forze fisiche e dell’animo per affrontare i cambiamenti necessari, ai quali la Chiesa è chiamata per riacquistare credibilità”, dando quindi un mandato esplicito al suo successore. Tuttavia, c’è un fatto, chiarisce Mauro, che ha sorpreso anche i non credenti. “Papa Francesco ha rinunciato al magistero della condanna per abbracciare il magistero della misericordia: in sostanza, sta mettendo il Vangelo al posto dei precetti e la fede al posto della morale”, colpendo anche chi dalla fede è distante o con la Chiesa è spesso molto critico. In tal senso, dice Riccardi, “anche se la proposta del nuovo Papa non si trova ancora in un documento programmatico, egli sa benissimo che se in questo ‘incontro’ non verranno coinvolti tutti, credenti e non credenti, alla fine non vi sarà alcun punto di arrivo”. L’agenda di un Papa innovatore più che riformatore.