“Vorrei essere chiaro: il fanatismo degli estremisti islamici, che oggi colpisce tutti, cristiani e non, prima della guerra in Afghanistan da noi non esisteva. Il Pakistan non ha mai avuto il terrorismo jihadista al proprio interno”. È un vulcano quando parla del proprio Paese, monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale pakistana, eppure possiede la calma di chi si sente in prima linea e sa di fare il possibile per la pacificazione nazionale. Formiche.net lo ha intervistato in occasione di un incontro dedicato alla libertà religiosa in Pakistan, organizzato dalla Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre presso la Pontificia Università della Santa Croce.
Monsignor Coutts, negli ultimi anni il Pakistan è stato considerato come il baluardo asiatico nella guerra al terrorismo islamico. Qual è la situazione oggi?
Lo siamo ancora. È ancora la condizione nella quale viviamo. Purtroppo, però, siamo stati risucchiati in questo conflitto a seguito degli attacchi all’Afghanistan e all’Iraq, perché prima l’estremismo islamico di stampo jihadista non era presente nel nostro Paese. Oggi esso è sostenuto dall’Islam di stampo wahabita dell’Arabia Saudita.
La libertà religiosa è garantita oggi nel suo Paese?
Quella che voi in Europa e negli Stati Uniti chiamate libertà religiosa è garantita dalla Costituzione, è un fatto. Tuttavia, più che riferirsi alla libertà religiosa, l’occidente dovrebbe parlare di diritti umani, perché la discriminazione più violenta è non essere considerati cittadini come gli altri. In Pakistan esistono altre forme di discriminazione molto forte, per esempio nell’accesso al lavoro o nell’educazione scolastica statale. È sui diritti umani che la comunità internazionale dovrebbe esercitare pressioni.
Quindi qual è la situazione dei cristiani residenti in Pakistan e quale l’atteggiamento del governo nei loro confronti?
Lo ripeto: la libertà religiosa a noi è garantita. E non sono i cristiani a essere sotto attacco da parte dei terroristi, o almeno non solo loro, perché sono colpite anche altre minoranze, come gli indù, o gli altri musulmani che non sono estremisti. Sotto l’attacco dei terroristi ci sono lo stato e il governo: loro colpiscono la polizia, l’esercito, le istituzioni, fanno attentati in luoghi pubblici, puntano a distruggere tutto per creare una teocrazia islamica fondata sulla sharia.
E la legge sulla blasfemia?
Quella legge è stata introdotta nel 1986 per tutelare l’onore di Maometto e preservare il Corano dalla dissacrazione. Il problema non è quella legge in sé, che tra l’altro colpisce tutti, soprattutto i musulmani, ma come viene attuata. È molto facile accusare qualcuno di blasfemia, praticamente impossibile per l’imputato provare la sua innocenza. Chi ha tentato di cambiarla, come il Ministro per le minoranze Shahbaz Bhatti, è stato ucciso (il politico pakistano è caduto vittima di un agguato da parte del gruppo fondamentalista afferente ai cosiddetti talebani del Punjab nel 2011, ndr): e lui, pur essendo cristiano, si batteva per tutte le minoranze, non solo per noi cristiani.
Qual è la motivazione che li spinge all’odio?
Anzitutto, gli estremisti fanatici contestano la democrazia perché la ritengono imposta dall’occidente, e quindi un valore non islamico. La democrazia viene dagli uomini, mentre loro puntano a un governo che viene da Dio, da Maometto. In secondo luogo, i terroristi percepiscono i cristiani, tutti i cristiani, come agenti dell’occidente in una nuova crociata contro l’Islam. Terzo: con l’attacco alla Chiesa di “Tutti i Santi” a Peshawar, che qualche giorno fa ha causato oltre 120 vittime, hanno alzato il livello dello scontro.
In che senso?
Per la prima volta, attaccando un chiesa e una comunità cristiana, gli estremisti hanno voluto mandare un messaggio all’occidente e agli Stati Uniti in particolare: se non interromperete subito le missioni con i droni, noi colpiremo molte altre chiese.
Mercoledì Papa Francesco ha pregato affinché cristiani e musulmani rafforzino la fraternità reciproca. Come è possibile, secondo lei, in un momento in cui i cristiani sono sotto attacco nel mondo islamico?
Quello che Papa Francesco dice per il dialogo è molto importante. Ma in Pakistan noi già collaboriamo giorno per giorno. La Chiesa cattolica non è una chiesa “nascosta”, come quella cinese o come erano quelle nei paesi dell’Europa dell’Est negli anni del comunismo sovietico: noi siamo una minoranza, ma lavoriamo con tutte le fedi, e la fraternità stiamo provando a costruirla sul campo.