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“Se questo è un padre”. La discriminazione dimenticata

ruffolo andrea“Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto.”

(Se una notte d’inverno un viaggiatore)

Perché si scrive? Questa è una domanda che spesso si ripete nel tempo. Si scrive per comunicare. Ma anche per condividere. In tempi in cui la lettura è stata superata dal bombardamento notiziario, le notizie spesso non fanno più notizia. E allora, un caso che il giorno primo occupava la prima pagina, il giorno dopo cade nel dimenticatoio del “già visto”. Però ci sono alcune cose che non è facile dimenticare poiché fanno parte della vita di molti. Anni di tormenti interiori a cercare di capire il senso del proprio agire, come direbbe Battiato in quella splendida canzone ” La Stagione dell’Amore”, ” Se penso a come ho speso male il mio tempo che non tornerà, non ritornerà “

Un giorno, per caso navigando in rete ho scoperto una storia. Una come tante che però diventa unica quando si decide di capirne fino in fondo il contenuto. E’ il caso del libro di Andrea Ruffolo  “Se questo è un padre, memorie di un amore incompreso” prefazione di Maria Rita Parsi. Un libro coraggioso, intenso scritto essenzialmente quale memoria condivisa di fatti accaduti per quel tempo speso male che non tornerà,  affinché ciascuno ( e sono in molti!) si possa riconoscere nella storia e nel vissuto dell’autore. Se questo è un padre è già una frase che evoca immagini letterarie di vicende forti, con quell’ “amore incompreso” di eloquente amarezza. Quando l’amore è incompreso si è costretti sempre a dimostrarlo. Con la necessità di un onere della prova. Mentre basterebbe semplicemente il “diritto” di amare, liberando il sentimento dalle “convenzioni” . C’è una bella descrizione di Umberto Eco che potrebbe essere indicata in questo caso ” Conquista, saccheggio culturale e scambio sono evidentemente solo modelli astratti, e in realtà ci si trova sempre di fronte a situazioni molto intricate di compresenza dei tre atteggiamenti

Ma ora diamo la parola ad Andrea Ruffolo:

In un paese benedetto da una Costituzione così legittimista come quella italiana, esiste una categoria dimenticata di cittadini di serie B, discriminati dai loro diritti .

Chi oserebbe  irritarsi nel vedere un padre che porta suo figlio a cavacecio al parco, o a scuola  o aiutare la figlia a vestirsi o abbracciarla con  affettuoso entusiasmo?

Sono immagini che fanno parte di una società sana e giustamente incoraggiate dalla cultura sociale.

Eppure il quadro cambia quando da un “padre di famiglia unita”  l’uomo diventa un “padre separato non remissivo”. Cioè un padre che o non vuole o non può accettare le condizioni di separazione che gli vengono sostanzialmente imposte dalle madri.

Se padre e madre concorrono nelle provvidenze della famiglia unita, se per disgrazia la famiglia rimane disgraziatamente priva della madre e il padre è obbligato a sostituirla, nessuno eccepirà nulla. Ma  nel momento stesso, in cui la separazione si concretizza giuridicamente in una forma litigiosa, il padre viene eliso per lasciare posto a una presenza tutta materna. Anzi, in virtù di questa consapevolezza giurisprudenziale, all’approssimarsi della separazione, molte madri attuano già il loro piano di estromissione. Il padre separato che reclama i propri diritti di genitore e di cittadino, è visto come un  travalicatore di competenze altrui, un importunatore di radicate consuetudini socio-culturali entrate in una sistematicità giurisprudenziale quasi assiomatica.

Allora inspiegabilmente quelle stesse immagini di confortante affettività paterna si capovolgono e il padre diventa un morboso individuo che ingombra l’immagine del figlio. E soprattutto quello della madre.

Eppure, a ben guardare, il quadro socio-economico  non è più quello della donna relegata tra le mura domestiche e che si immola per il bene della famiglia. Le donne lavorano, sono in carriera e spesso i figli sono affidati a tate o agli asili nido o ai doposcuola. O i padri, emancipatisi a ruoli casalinghi, sovvertono le antiche idiosincrasie domestiche.

Né nei manuali psicologici  è mai scritto  che la madre sia da prediligere al posto del padre; semmai che si deve individuare il care giver, colui o colei che abbia i cromosomi di una equilibrata affettività e senso pedagogico. Dunque?

Due principi  della Costituzione, “uguaglianza di tutti i cittadini  di fronte alla legge” e “garanzia della proprietà privata” si subordinano al “supremo interesse del minore”.

Al fine di “garantirlo”, la legge sul diritto di famiglia prevedeva che in caso di separazione, un solo genitore (nella quasi totalità dei casi la madre) si dovesse prendere cura dei figli con un affido esclusivo; ma anche dopo la riforma che introdusse nel febbraio 2006 l’affido condiviso, un atteggiamento giurisprudenziale a favore della madre, lede tuttora  i diritti dei padri e quindi  dei figli.

 Ancora oggi si lamenta la non applicazione di quella norma sul versante degli onori paterni e cioè una congrua frequentazione con i  figli e un’ oculata ripartizione degli oneri finanziarii.

Di questa discriminazione che sembra non importare a nessuno tranne ai diretti interessati, ho dato conto in un  mio memoriale in cui si può meglio comprendere il dramma psico-affettivo che molti padri vivono.

Per darsi un’idea grossolana di cosa accada, basta pensare a un licenziamento: un padre separato in contenzioso giudiziario  è al pari di un lavoratore licenziato che, invece del TFR, riceva l’addebito di oneri aggiuntivi e il distacco dalla quotidianità con i figli.

Nel mio crudo racconto, non ho voluto dimostrare tesi, ma narrare quello che in dieci anni di processi mi è capitato, proprio per permettere al lettore di entrare nell’aspetto meno conosciuto e  più umano di questo trauma di resezione dagli affetti, dalle consuetudini e non di rado anche dai luoghi in cui si è vissuto. Un terremoto esistenziale che si accompagna a una discriminazione giurisprudenziale che può determinare, in casi estremi, il collasso  dell’equilibro psichico dell’uomo-padre  conducendolo, irreparabilmente,  sul crinale del delitto. Un memoriale che, d’altro lato, mira fondamentalmente a raccontare l’ indissolubile unione che tiene uniti un padre e una figlia a dispetto di ogni macchinazione contraria. E per finire, come spiega la Prof.ssa Parsi,  un monito per tutti coloro che nella aule giudiziarie con i  loro atti o anche  i loro non-atti, incidono profondamente nella vita di migliaia di  figli.

Nei processi di separazione cosiddetta “giudiziale”, i giudici per impedimento di tempo e di competenza (come loro stessi sostengono), non entrano nel merito dei singoli dissidi, delegando a tale intento i periti psicologi e raccogliendone poi le conclusioni come supporto alle decisioni. Fomentando in realtà un lucroso business sulle  macerie delle famiglie. Illuminante in questo senso il saggio di Claudio Risè “Il padre: l’assente inaccettabile”. Ma il lavoro di questi professionisti é fondamentalmente volto a scovare elementi pregiudizievoli all’affido materno (seri disturbi psichiatrici , droghe, etc). Una volta fugato tale unico dubbio dirimente, l’affido alla madre è certo e incontrovertibile.

Infatti, guardando  le statistiche sulle separazioni,  il 68% è ormai introdotto dalla donna-madre e questo attesta non solo dell’emancipazione ma del vantaggio che la condizione di donna separata comporta .

Il premio per la donna che si libera dalla costrizione matrimoniale va dalla “domiciliazione” quasi esclusiva della prole, alle diverse prebende monetarie:  dagli alimenti per sé o per i figli o entrambi (non deducibili dalle imposte paterne), l’assegnazione della casa familiare a prescindere di chi ne sia il proprietario. Un’ altra serie di norme corollario, come la protezione della privacy e il diritto di ciascuno di condurre la vita che più ritiene opportuna, fa sì che tali prebende possano diventare  ancora più evidenti e inique. Per esempio: può accadere che un padre  esca di casa sua per vederci installato il compagno della madre. E mentre lui deve trovarsi un alloggio di fortuna, l’altro diventa un padre putativo molto più presente di quello reale. Vere aberrazioni che gridano allo scempio dello stato di diritto. 

Si ha l’impressione che, sul  principio di tutela del minore, prevalga quello di tutela della madre dal momento in cui il comparto femminile è diventato la maggioranza elettorale.  Ne consegue che la vittima della separazione oggi è il padre e non più la madre. Situazione ormai nota e entrata nel repertorio umoristico popolare come quella del padre che vuole comperare una Barbie alla figlia e il negoziante gli mostra il modello della Barbie separata che costa dieci volte di più della  sposata perché, nella confezione della prima, ci sono anche tutti  i beni  del marito Ken!

Quindi quando il padre viene negato in questo modo al figlio, non è difficile rendersi conto di come suonino stonati oggi il principio lucreziano “massimo rispetto del fanciullo” o pagine poetiche sul rapporto padri figli, come il grido di Pinocchio quando ritrova il padre “e gettandosi al collo del vecchietto, cominciò a urlare: Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più!”

Nel 2010, in una delle ricorrenti interviste sul problema, l’ex presidente del Tribunale di Roma, ammise candidamente a Panorama che se l’operato dei giudici era a favore delle madri non dipendeva tanto dal dettato legislativo ma da quello socio-culturale. In fondo le separazioni conflittuali erano – secondo lui – un’irrisoria percentuale. Una confessione che a saperla in anticipo farebbe risparmiare  tempo e denaro a molti padri, i quali rinuncerebbero ai principi di giustizia sanciti dalla Costituzione e si assoggetterebbero pacificamente al ricatto monetario e affettivo imposto dalla prepotente di turno. E risparmierebbe al legislatore l’improba fatica di emanare nuove leggi.  


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