Le reazioni seguono una noiosa coazione a ripetere. Un gruppetto di violenti avrebbe snaturato il pacifico corteo. Le carrozzine, i bambini, i canti e i balli, tutta la panoplia della sinistra buonista e dell’opposizione per bene, stravolta da un gruppo di imbecilli, proprio come si sente definire gli ultra agli stadi, un mantra recitato ogni domenica in televisione che si fa alibi e poi slogan giustificazionista.
Saranno stati pochi ma erano ben organizzati con tutta la santabarbara del caso, comprese le felpe di ricambio e le maschere di Guy Fawkes. Anche lui un eroe da cultura pop, non appreso sui banchi di scuola, ma dai fumetti e dal cinema. Si spreca la sociologia impressionistica: sono sempre piu’ giovani, sempre piu’ sbandati, sempre meno politicizzati. A Genova nel 2001 c’era la multinazionale black bloc, a Roma nel 2011 erano gli anarchici antagonisti, oggi sono i ragazzini incappucciati (La Stampa). E via via con spiegazioni e giustificazioni in geometria variabile che si susseguono imperterrite da decenni, da quando la rivolta antisistema s’è trasformata in ribellismo endemico. Ebbene, per un attimo prendiamo per buono tutto quel che viene detto.
1- Erano pochi? Probabile. Una dozzina scriveva qualcuno su twitter, poche centinaia secondo il giornaloni; ma erano davvero isolati? No, nuotavano come pesci nell’acqua; insegnamento appreso dai loro cattivi maestri leggendo il libretto rosso di Mao e propagato di generazione in generazione. Ebbene, qui la lezione degli anni ’70 deve essere ripresa. Nessun movimento di protesta può essere democraticamente credibile nella forma e nei contenuti se non si libera delle cosiddette “frange violente”. Il popolo del No non l’ha fatto, anzi ha trasformato quelle frange in avanguardie. Con tanto di scrittori militanti che ne fanno parte e lo legittimano, come Erri De Luca.
2- Davvero non hanno riferimenti ideologici? Francamente la cultura del No è una ideologia. Prima sembrava una caricatura dell’uomo in rivolta di Albert Camus, adesso è un intero sistema (dal mito della decrescita in poi) che si collega alle correnti nichiliste di destra e di sinistra analizzate proprio da Camus, che hanno segnato il secolo scorso.
3- Come è accaduto già in passato, questa ideologia è alimentata dalle sconfitte, dalle crisi, dall’incapacità e impossibilità di soddisfare aspettative (non tutte legittime), trasformate in antagonismo permanente. Di fronte a questo, la cultura dominante, la classe politica, i partiti che controllano la Rai, i capitalisti che posseggono i giornali e le altre televisioni, non hanno opposto nessuna diga, non hanno ribattuto intellettualmente colpo su colpo, anzi hanno lisciato il pelo alla bestia per paura di essere sbranati; ancora una volta abbiamo assistito a un’altra dimostrazione di ignavia delle classe dirigenti. I pochi violenti dei cortei, o gli imbecilli degli stadi, ringraziano.
4- E’ possibile reagire e come? Ci vogliono i fatti si dice. Vero, ma ci vogliono anche le idee. E su questo fronte bisogna cominciare la battaglia troppo a lungo evitata. La propaganda, a lungo snobbata dalle anime belle, si rivela importante, ma non serve se non si basa su un ben fondato paradigma, che potremmo chiamare sviluppista. Dove sviluppo ha in sé non solo contenuti economici, ma valori come quelli del lavoro (il rifiuto e la negazione del lavoro e’ un archetipo del pensiero nichilista) attività per eccellenza con la quale l’uomo manifesta se stesso e il suo rapporto con la natura, dello scambio ( di merci, uomini, idee) che solo ha fatto crescere le civiltà, della libertà, non quella negativa (altro pilastro nichilista con vari travestimenti) ma quella politica. C’è qualcuno disposto a mettersi in gioco? Domanda senza risposta stando al silenzio dei politici e degli industriali, e alla complice furbizia del “mondo della cultura”.
5- Ha scritto già vent’anni fa il filosofo Charles Taylor che “il pericolo oggi non è il dispotismo, nemmeno quello morbido profetizzato da Tocqueville, ma la frammentazione. Nelle societa’ democratiche moderne abbondano le proteste, le libere iniziative, le sfide irriverenti all’autorita’; ed e’ un fatto che i governi tremano di fronte alla collera e al disprezzo dei governati. Il rischio e’ di trovarsi di fronte a una popolazione sempre meno capace di darsi una finalita’ comune e di realizzarla”.
Con il popolo del No; “uno, cento, mille No”, questo pericolo diventa realtà.
Stefano Cingolani
(www.cingolo.it)