”Un’utopia”. Con questa espressione, piuttosto forte, padre Pierbattista Pizzaballa, custode del convento di Terra Santa, ha commentato la possibilità di un accordo di pace tra Israele e Palestina. Da 24 anni in Terra Santa, padre Pizzaballa è tornato in Italia per qualche giorno. Il caso ha voluto che fosse a Roma proprio in concomitanza con l’incontro tra Papa Francesco e Abu Mazen e con l’invito del leader palestinese al successore di Benedetto XVI a recarsi in Terra Santa. Ma quale è la situazione dei cristiani in Terra Santa e, più generalmente, in Medio Oriente? Quale potrebbe essere il significato del viaggio di Papa Francesco in Terra Santa? Formiche.net lo ha chiesto a padre Pizzaballa.
Abu Mazen ha invitato Papa Francesco in Terra Santa. Secondo alcune fonti, questo viaggio potrebbe avere luogo nei mesi di marzo o aprile del prossimo anno. Quale potrebbe essere il significato di un tale viaggio per i cristiani in Medio Oriente?
L’annuncio ufficiale del viaggio da parte della Santa Sede non è ancora arrivato, ma lo ritengo probabile. Ogni nuovo Papa viene in Terra Santa dal momento che rappresenta un luogo molto importante per la vita della Chiesa e non solo, quindi, per il Medio Oriente. Certo, Papa Francesco è molto imprevedibile e quindi è molto difficile fare una previsione su come possa essere la sua visita. Bergoglio è una persona molto carismatica e quindi l’esito del viaggio dipenderà più dai suoi gesti che dalle sue parole. Posso però dire che Papa Francesco ha, sin da subito, preso in simpatia sia Israele che la Palestina e vi è dunque una grande attesa. Sono sicuro, però, che questa visita avrà una forte impronta pastorale. Papa Francesco, infatti, è soprattutto un vescovo più che un teologo. Ovviamente non sarà possibile evitare del tutto gli aspetti prettamente politici ma Francesco, con il suo stile, saprà tenersi fuori dalla politica tout court limitandosi a dare indicazioni di principio.
Nell’incontro con Papa Francesco, il leader palestinese Abu Mazen ha dichiarato: “spero di usare questa penna per firmare l’accordo di pace con Israele”. Quale effetto avrebbe un simile accordo sulla comunità cristiana medio-orientale?
Anche se non è un ragionamento proprio da cristiano, mi lasci dire che qui siamo nell’utopia. Oggi se uno viene in Terra Santa e chiede a qualunque persona del processo di pace, questa si mette a ridere. Non si riesce a capire di cosa si debba ancora discutere, dato che tutto è già stato discusso. Si tratta semplicemente di scegliere uno dei vari “pacchetti” preparati. La questione israelo-palestinese è alla base di tanti conflitti in Medio Oriente. Un eventuale accordo in tal senso, quindi, sarebbe un enorme passo in avanti. Il problema del Medio Oriente, infatti, è che nessuno parla con nessuno. Tutti si odiano, e le frange più deboli, come i cristiani, sono quelli che pagano il prezzo maggiore.
In occasione del viaggio di Benedetto XVI in Libano, il pontefice ha più volte invitato i cristiani “a non avere paura”. Di cosa, e di chi, hanno paura oggi i cristiani in Medio Oriente?
I cristiani hanno paura di tutto! E sono paure legittime. Il Medio Oriente sta attraversando un periodo di forte cambiamento, come dimostrano gli eventi in Siria ed Egitto. Lo status quo che per quarant’anni ha retto queste terre oramai non esiste più. E’ quindi venuto meno un sistema che, seppure in maniera molto fragile, garantiva la vita dei cristiani. In Siria, oggi, le frange più estremiste stanno cercando di fare di tutto per allontanare i cristiani mentre in Egitto le chiese vanno a fuoco. La paura dei cristiani è dunque quella di rimpiangere un passato che non torna più, quella di dover scegliere tra il rinchiudersi a riccio per difendere il proprio ambiente, con il rischio di ghettizzazione, e il dover andare via.
La presenza francescana in Terra Santa è plurisecolare ed è stata definita “la perla di tutte le province”. Quali sono i punti fermi ed il significato della vostra presenza?
La missione francescana in Terra Santa è ben definita. Si tratta di difendere il carattere cristiano di quella terra. E questo può essere fatto solo in due modi. Innanzitutto attraverso i luoghi santi, che sono la testimonianza concreta e visiva della storia della rivelazione. Ma il carattere cristiano della Terra Santa lo si difende anche custodendo le pietre vive, la comunità cristiana sotto ogni profilo possibile. Per questo motivo la nostra presenza è prima di tutto un dovere, poi un diritto. Per un cristiano non esiste la casualità, ma solo la provvidenza. Noi non siamo lì per caso. E’ la provvidenza che ci ha mandato in Terra Santa e lì abbiamo una missione, un dovere. La presenza cristiana in Terra Santa è parte integrante e necessaria della Chiesa ancora oggi.
Gerusalemme è al tempo stesso la città della pace, la città delle tre religioni e la città dei muri. Come si esce da questa situazione?
Gerusalemme è, in effetti, tutte queste cose insieme. E sarà sempre così. E’ la città dove ebrei, musulmani e cristiani hanno sempre convissuto. E’ la città dove occidente ed oriente si incontrano e si scontrano. E’ crocevia di popoli e nazioni. E poiché non cambierà, bisognerà imparare a convivere con questo problema. La sfida, affascinante, sarà dunque quella di tenere insieme in maniera armonica tutte queste diverse anime che rendono Gerusalemme una città veramente universale, cioè aperta al mondo e che ha in sé tutte le anime del mondo.
Da tempo si parla di un possibile accordo tra il Vaticano ed Israele. Pensa che tale accordo sia opportuno? Nella Chiesa sembrano esserci voci discordanti…
Si tratta di un qualcosa di legittimo ed inevitabile. Ogni grande passaggio storico suscita sempre delle paure. Mi lasci dire, però, che prima sarebbe opportuno porsi un’altra domanda: dato che lo Stato di Israele esiste, la Chiesa ha diritto o no ad una legittimazione al suo interno? Se la risposta è positiva, allora tale legittimazione deve essere definita. E’ in tal senso che si parla quindi di un possibile accordo con Israele. Un accordo che, ovviamente, presenta novità e, al tempo stesso, delle ambiguità. E sarà la fatica del dopo fare convivere questi aspetti. Ma la domanda di fondo è: vogliamo essere legittimati dentro ad Israele? In caso positivo, bisogna essere coerenti ed andare sino in fondo.
I cristiani sembrano sotto attacco un po’ ovunque in Medio Oriente. Quale è la loro situazione in Israele?
Tale problema è stato sollevato alla Conferenza cattolico-ebraica a Madrid alla quale ho appena partecipato. In Israele ci sono sicuramente problemi di convivenza ma non possiamo dire che ci siano gli stessi problemi che ci sono in Medio Oriente. Non c’è persecuzione, c’è libertà di coscienza e di culto. Per di più, gran parte delle istituzioni cattoliche sono sovvenzionate economicamente dallo Stato. E lo scopo del possibile accordo è proprio quello di poter andare a parlare con Israele dei problemi che colpiscono la comunità cristiana in una posizione di pari grado, di legittimazione.
Un’ultima domanda, padre. Papa Francesco in questi mesi ha spesso messo l’accento sull’antisemitismo. Benedetto XVI ha definito gli ebrei “nostri fratelli nella fede”. Come è la situazione in Medio Oriente?
Ogni persona parla della sua esperienza. Bergoglio è stato arcivescovo a Buenos Aires e ha vissuto personalmente atti criminosi contro la comunità ebraica. E ciò l’ha segnato molto. Nella Chiesa e nel mondo è cambiato parecchio. Ma duemila anni non li cambi i sessant’anni, e per questo c’è ancora molto da fare nell’ambito della coscienza. In linea di massima, a parte qualche caso che purtroppo esiste, nessuno oggi è deliberatamente antisemita, ma ci sono ancora molti pregiudizi che uno non sa di avere sino a quando non incontra l’altro. Nel Medio Oriente, invece, la situazione è molto diversa. C’è un odio profondo nei confronti di Israele e degli ebrei. Su questo punto, quindi, c’è ancora molto da lavorare. Anche da parte ebrea. Non sempre, infatti, il mondo ebraico è cosciente dei cambiamenti fatti, ad esempio, dalla Chiesa e vive ancora all’ombra dei pregiudizi legati all’inquisizione ed alle persecuzioni.