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Le sfide culturali per l’America dietro il caso Datagate

Il mondo come lo conosciamo oggi è nato con la globalizzazione dell’economia di mercato avvenuta dopo la caduta del muro di Berlino. Il vero mutamento strutturale, però, è avvenuto negli anni novanta con il radicamento capillare dell’interconnessione telematica. Oggi tutto il nostro mondo ruota intorno alla Rete e al sistema di telecomunicazione che la sorregge. Questa è stata originariamente creata dalle forze armate americane e poi aperta agli scienziati che dalle università si occupavano di ricerca militare durante la guerra fredda. Finita la guerra fredda, l’uso della rete si è rapidamente esteso prima a tutto l’universo accademico e subito dopo al mondo commerciale.

La rete è a immagine a somiglianza degli Stati Uniti. Il fondamento su cui poggia è il primo emendamento – libertà d’espressione – e la sua stessa struttura è nata dalla necessità di collegare una società continentale policentrica distribuita su più fasce orarie. Nel caso di un attacco sovietico, la rete era disegnata perché le linee di comando e controllo passassero agevolmente da Washington alle Hawaii, o in qualsiasi altro punto non colpito dal nemico, per consentire il contrattacco su cui poggiava la deterrenza. Una volta applicata al commercio, la rete ha preso la forma del libero mercato americano che già produceva e distribuiva merci ovunque vi fosse l’opportunità di farlo. La rete combacia punto per punto con il libero mercato solo perché è nata negli Stati Uniti in un determinato momento storico. In un altro momento, o in un altro paese, mettiamo la Cina, avrebbe potuto assumere un’altra forma, una in cui la concorrenza di mercato sarebbe stata magari rispettata, ma non necessariamente la libertà di parola. Come peraltro accade in Cina oggi.

Se si tocca questo assetto, se si segmentano i reticoli e si fortificano i nodi su base nazionale, crolla la struttura portante del nostro tempo. In parte è già crollata. In molti paesi, dalla Corea del Nord alla Cina, la rete è imprigionata da firewall e altri dispositivi atti a impedire la libera circolazione delle idee. Come abbiamo detto, la rete assomiglia alla società americana. Libero mercato in libero stato. Le due cose vanno insieme. Sulla rete così come l’hanno costruita gli americani si trova di tutto. Sta a noi distogliere lo sguardo da ciò che offende o dispiace.

Si legge già da tempo che in futuro il mondo cesserà di essere un’entità unica per quanto disomogenea e tornerà a essere un arcipelago di isole tendenzialmente omogenee. Considerato che questo era proprio il disegno geopolitico della Germania nazista non trovo nulla di confortante nella prospettiva, visto anche che il culto del giurista del Terzo Reich Carl Schmitt in Italia ha già portato a questo risultato sul piano teorico. Depurato di ogni residuo anti-semita, il mondo che si affaccia dalla filosofia di Massimo Cacciari è quello dei gradi spazi verso cui propendeva il Reich. Ecco come termina il suo ultimo libro, Il Potere che frena (Adelphi 2013): “Ciò che la crisi permanente permette oggi ragionevolmente di affermare è che da essa non emergeranno nuove potenze catecontiche [ossia nuove potenze universaliste; si noti che questa era la critica fatta da Schmitt agli Stati Uniti dopo la guerra]. Emergeranno forse “grandi spazi” in competizione, ‘guidati’ da élites che, pur in conflitto tra le loro diverse potenze, sono caratterizzate tutte dall’insofferenza assoluta verso qualcosa che trascenda il loro stesso movimento” (p. 126). Filosofi come Cacciari hanno fatto di tutto per “sdoganare” Schmitt, ma il risultato a cui giunge chi segue il suo pensiero porta sempre allo stesso punto. La necessità per una civilizzazione di conquistare e difendere uno spazio vitale. Nulla di terribilmente promettente per chi non crede nell’omogeneità sociale interna, e anzi dà valore alla creatività che deriva dal cozzare delle diversità.

Il mio timore è che se si deciderà di risolvere il problema posto dalla posizione dominante americana con la trasformazione del mondo globalizzato in un arcipelago di “grandi spazi”, a sparire non sarà solo la possibilità della Nsa di carpire le telefonate di chiunque ovunque nel mondo. A sparire potrebbe essere molto di più, vista la scarsa propensione al pluralismo che caratterizza alcuni dei grandi spazi planetari. Un mondo in cui i confini della rete si fermassero alle frontiere continentali o nazionali non sarebbe più il nostro mondo. Eppure è in questa direzione che si sta andando. Sia la Germania che la Francia si stanno facendo portatrici di iniziative di segmentazione che porterebbero inevitabilmente a un disaccoppiamento della rete trans-oceanica che oggi collega le due sponde dell’Atlantico. I tedeschi lo hanno dichiarato dopo le prime rivelazioni secondo cui gli Stati Uniti spiano sistematicamente le telecomunicazioni interne dell’Unione europea. I francesi non hanno mai fatto mistero di voler difendere a tutti i costi la differenza culturale che caratterizzerebbe la francofonia. Se dovesse capitare davvero forse non si andrà verso il mondo di arcipelaghi immaginato da Schmitt e reinterpretato da filosofi come Cacciari. Ma di sicuro sarà finito il mondo in cui stiamo vivendo ora. Che con tutti i suoi difetti, per noi occidentali non è poi il peggiore dei mondi possibili (Italia a parte, ma per motivi endogeni).

Per questo gli Stati Uniti dovrebbero subito correre ai ripari, proponendo loro una qualche misura di controllo delle proprie capacità di intelligence. È nel loro interesse. E forse anche del nostro. O perlomeno di chi non crede nell’omogeneità dei “grandi spazi” e ritiene che le disomogeneità attraversino tutte le società in ogni punto dello spazio e che queste disomogeneità siano un giacimento di ricchezza culturale. Proprio come la rete inventata dagli americani nella loro folle corsa verso la piena realizzazione del primo emendamento. “Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances.” (“Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione, o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti.”)

Il problema è oggi come costringere gli Stati Uniti ad applicare il quarto emendamento al resto del mondo come lo applicano a se stessi. “The right of the people to be secure in their persons, houses, papers, and effects, against unreasonable searches and seizures, shall not be violated, and no Warrants shall issue, but upon probable cause, supported by Oath or affirmation, and particularly describing the place to be searched, and the persons or things to be seized.” (Il diritto dei cittadini ad essere assicurati nelle loro persone, case, carte ed effetti contro perquisizioni e sequestri non ragionevoli, non potrà essere violato, e non potranno essere emessi mandati se non su motivi probabili, sostenuti da giuramenti o solenni affermazioni e con una dettagliata descrizione del luogo da perquisire e delle persone o cose da prendere in custodia.)

Per come stanno le cose oggi, il mondo si divide per la Nsa in “cittadini americani i cui diritti sono protetti dalla Costituzione” e gli “altri.” È necessario che questi diritti, già riconosciuti in linea di principio a tutti gli stranieri soggetti alla giustizia americana, vengano effettivamente riconosciuti. Ne va della sicurezza nazionale degli Stati Uniti e del modo da loro creato.

Clicca qui per leggere l’analisi completa sul sito del Centro Einaudi



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