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Incidente a Tian’anmen, spunta la pista uigura

Si parla di pista uigura per spiegare il misterioso incidente automobilistico di ieri pomeriggio in piazza Tian’anmen a Pechino. Una jeep 4×4 lanciata in mezzo alla folla si è schiantata per poi prendere fuoco proprio sotto il ritratto di Mao Zedong, all’ingresso della Città Proibita, in uno dei luoghi simbolo e più sensibili della capitale cinese.

Nell’incidente sono morti i tre passeggeri del veicolo e due turisti, uno cinese e una donna filippina. I feriti sono 38. Sebbene la stampa ufficiale continui a parlare di incidente stradale, la cui dinamica tuttavia lascia qualche perplessità in un punto della città contraddistinto da ampi vialoni rettilinei, la polizia è alla ricerca di due uomini che dai nomi sembrano essere originari dello Xinjiang, la travagliata regione all’estremo occidente della Repubblica popolare attraversata dalle pulsioni separatiste della popolazione turcofona e musulmana.

Circolano anche i primi nomi considerati quantomeno legati all’incidente: due uiguri, Youssef Ashanti e Youssef Oumarniaz. Ieri mentre le foto dell’incidente circolavano online, la polizia aveva provveduto a chiudere la piazza che fu teatro delle proteste del 1989, ripulire completamente la scena e riaprirla dopo alcune ore. Ancora ieri si cercava di dare un movente a quello che in pochi hanno considerato un vero incidente. Si è parlato di pista uigura, di movimenti tibetani, della protesta dei seguaci della setta del Falungong. Si è addirittura ipotizzato un tentativo di destabilizzare la leadership, quando mancano meno di due settimane al plenum del comitato centrale del Partito comunista cinese del 9-12 novembre, che discuterà delle riforme al sistema economico della Repubblica popolare. Ipotesi e illazioni al momento, mentre sulla stampa occidentale prende corpo l’ipotesi uigura.

Ancora di recente lo Xinjiang è stato teatro di violenze, sparatorie e scontri. Pechino vuole trasformare la regione in un hub per la propria strategia in Asia Centrale, facendone uno snodo della nuova via della seta che nel XXI secolo diventa la via delle risorse energetiche.

Lo sviluppo della regione ha alterato la demografia dello Xinjiang. Uiguri e cinesi han, gruppo maggioritario nel Paese, ora quasi si equivalgono, con i primi spesso discriminati nelle assunzioni e tagliati fuori dai posti che contano per lo sviluppo della regione.

Nella gestione del capitolo Xinjiang il governo cinese gioca a suo favore la carta della lotta contro il terrorismo. Della scorsa settimana è la notizia del Pakistan che ha iscritto nella propria lista nera dei gruppi estremisti tre organizzazioni segnalate da Pechino, tra cui gli uiguri del Movimento islamico per il Turkestan orientale. Sebbene episodi di violenza abbiano avuto come teatro lo Xinjiang, i più gravi furono gli scontri etnici dell’estate 2009, mai si era arrivati fino alla capitale.

O meglio, nel 2009 tre uiguri si immolarono in un auto su Wangfujin, la via pechinese dello shopping, non lontano da Tian’anmen, per protesta contro un esproprio di terra. Nel 1997 sospetti, non confermati, sulla minoranza uigura, furono avanzati per una bomba su un bus, che fece due morti. Ora i nuovi sospetti potrebbero portare a un ulteriorie giro di vite repressivo nella frontiera occidentale della seconda economia al mondo.


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