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La corsa ad ostacoli delle banche europee in vista dell’Unione bancaria

Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali.

Il processo di Unione bancaria che mira a spezzare il circolo vizioso fra gestione del debito sovrano e funzionamento del settore bancario nell’ambito dell’Unione economica e monetaria europea (Uem) sembra avere compiuto radicali progressi fra il dicembre 2012 e l’ottobre 2013.

Bicchiere mezzo pieno
L’Eurogruppo e il Consiglio europeo del dicembre 2012 hanno avviato la costruzione del primo pilastro dell’unione bancaria, definendo le caratteristiche di quel meccanismo unico di supervisione che è stato definitivamente approvato a metà ottobre e che riserva il ruolo cruciale di vigilanza alla Banca centrale europea (Bce).

Inoltre, sempre in quelle riunioni, sono stati rimossi gli ostacoli politici al varo delle norme sul capitale delle banche e si sono sbloccate le due vecchie direttive della Commissione sull’istituzione e sul coordinamento di meccanismi nazionali per la risoluzione delle crisi bancarie e di fondi nazionali per le garanzie sui depositi.

In aggiunta, si sono posti vincoli temporali alla Commissione per la formulazione di una proposta di meccanismo unico europeo di risoluzione (Single resolution mechanism, Srm) di queste crisi e si è sollecitato un accordo operativo per le ricapitalizzazioni dirette delle banche di stati membri dell’Uem da parte del meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, Esm).

Tali impegni hanno trovato attuazione entro luglio 2013. Sono state varate le norme relative ai requisiti di capitale delle banche. L’operatività del meccanismo europeo di stabilità per la ricapitalizzazione diretta delle stesse banche è stata subordinata alle varie verifiche sui bilanci bancari che la Bce e la European Banking Authority effettueranno fra novembre 2013 e ottobre 2014, e alla conseguente entrata in funzione del meccanismo di supervisione.

L’Eurogruppo ha approvato le direttive europee sulla risoluzione delle crisi bancarie e sull’assicurazione dei depositi e la Commissione ha definito la sua proposta per il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie.

Bicchiere mezzo vuoto
Non tutti questi passi sono andati nella giusta direzione. L’approvazione delle due direttive europee prevede tempi lunghi per l’effettiva costituzione dei fondi nazionali di settore e limita al massimo gli interventi del meccanismo europeo di stabilità, addossando un onere eccessivo sui singoli creditori delle banche e – per un lungo periodo di transizione – sugli stati membri. Essa massimizza inoltre la possibilità di deroghe nazionali rispetto ai principi generali e minimizza la cooperazione fra i singoli meccanismi degli stati membri.

Il disegno del meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie ha una bassa probabilità di realizzazione: non poggia su basi giuridiche e politiche sufficientemente solide da attivare una garanzia comune degli stati membri rispetto alla capienza del costituendo fondo comune alimentato dalle varie banche, non risolve il problema di come gestire i problemi bancari pregressi e attribuisce un ruolo troppo rilevante alla Commissione.

Quanti sono già preoccupati per la possibile commistione fra responsabilità di politica monetaria e compiti di vigilanza in capo alla Bce, non accetterebbero la ben più grave sovrapposizione fra potere esecutivo e di regolamentazione in capo alla Commissione europea.

Anche alla luce delle resistenze tedesche rispetto al varo di un efficiente meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie, il rischio è quindi che – alla fine del prossimo anno – la Bce sia costretta a svolgere le funzioni di vigilanza senza poter contare, per la gestione dei casi di crisi bancaria, né su fondo unico europeo, né su una rete concordata di interventi pubblici europei e nazionali (back stop), né su una garanzia congiunta da parte degli stati membri.

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Marcello Messori è professore di Economia all’Università di Roma Tor Vergata e editorialista del Corriere della Sera.


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