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Giovanni Sartori, il M5S e la libertà di autodeterminazione dei partiti politici in Italia

Domani potrebbe svilupparsi in Italia un movimento nuovo, anarchico, per esempio. E io mi domando su quali basi si dovrebbe combatterlo. Io sono del parere che bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione politica democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee. Ma non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rinunzia al metodo democratico” (P. Togliatti)

Giovanni Sartori è un noto ed esperto politologo.
Grandissima competenza e capacità di analisi in materia di scienze della politica e di teorizzazioni sulla democrazia. Lunghissimo l’elenco delle facoltà universitarie, italiane e straniere, che ne hanno riconosciuto i meriti in campo scientifico.

E’ altresì colui che ha coniato il termine “porcellum”, comparso per la prima volta in un suo noto editoriale per Il Corriere della Sera nel 2006.

L’altro ieri, dalle colonne dello stesso giornale, Giovanni Sartori ha denunciato quella che ritiene una “violazione macroscopica” della Costituzione Italiana.

A nessun giurista italiano, secondo Giovanni Sartori, sarebbe mai venuto in mente di considerare il rapporto sussistente fra il Movimento 5 Stelle e l’art. 67 Cost. per il quale il parlamentare deve rimanere libero ed indipendente nell’esercizio delle sue funzioni (il c.d. divieto di mandato imperativo).

In realtà se ne parla da molto. Nel nostro piccolo, seppur sotto aspetti diversi, ci eravamo interessati anche noi alla questione.

Secondo Giovanni Sartori, l’organizzazione del M5S violerebbe il divieto di mandato imperativo, dal momento che Grillo impone ai suoi eletti il rigoroso rispetto degli impegni assunti con gli elettori, pena anche l’esclusione dal movimento (“una sudditanza che li obbliga, senza istruzioni, al silenzio o alla inazione”, dice Sartori).

Ciò, per il politologo, impedirebbe agli eletti nelle file del Movimento 5 Stelle di poter validamente sedere in Parlamento.
Invocando l’intervento della Corte Costituzionale e del Presidente Napolitano sul punto, Giovanni Sartori si spinge fino a mettere in serio dubbio la legittimità della procedura di elezione e la stessa investitura formalmente ricevuta dai parlamentari del M5S.

Credo ci sia un errore di fondo in una simile valutazione.

L’art. 67 Cost. è sicuramente tale da sciogliere automaticamente, per effetto dell’investitura parlamentare, ogni eventuale vincolo di mandato. Giuridicamente ciò si manifesta nella non coercibilità della condotta tenuta dall’eletto in Parlamento. In altre e più semplici parole, non posso farci niente, giuridicamente, se il Parlamentare alla fine in aula vota come vuole. Non ho rimedi per imporgli di tenere una certa condotta in aula. Né ho modo, allo stato attuale della legislazione, di pretenderne, per tale ragione, la decadenza dal seggio parlamentare.
L’art. 67 Cost. sarebbe scudo efficace rispetto ad ogni eventuale azione costrittiva in tal senso.

Discorso diverso, però, è cosa accade nella vita del partito da cui quel parlamentare proviene.
I partiti politici in Italia, come è noto, non sono disciplinati da alcuna regolamentazione specifica.

L’unica regola detta a riguardo è contenuta all’art. 49 Cost., il quale stabilisce che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

In seno all’Assemblea Costituente si è discusso molto se fosse opportuno o meno obbligare i partiti ad avere un’organizzazione democratica al loro interno.

Una prima versione della norma stabiliva che “Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico”.

Fu l’onorevole Ruggiero a chiedere ad un certo punto a gran voce che il metodo democratico venisse “affermato, usato ed esercitato anche nell’ambito della vita del partito, cioè considerato come un principio imprescindibile anche per la struttura interna di un partito”.

Togliatti efficacemente rispose: “Domani potrebbe svilupparsi in Italia un movimento nuovo, anarchico, per esempio. E io mi domando su quali basi si dovrebbe combatterlo. Io sono del parere che bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione politica democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee. Ma non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rinunzia al metodo democratico”.

La linea sorprendentemente libertaria di Togliatti è quella che poi si sarebbe affermata.

Ciò significa che ogni partito è libero oggi di organizzarsi come vuole, anche in maniera antidemocratica, oligarchica od autoritaria.

L’unico limite stabilito per i partiti è il divieto di riorganizzazione del partito nazionale fascista.
Oltre tale limite, libertà assoluta.

E’ solo la competizione nazionale fra partiti, quando si concorre per la composizione del Parlamento, che deve rispettare il metodo democratico.

Su queste premesse si inserisce anche la libertà del partito politico di regolare come meglio ritiene le possibili conseguenze delle condotte tenute dai propri iscritti. Incluse quelle tenute in aula o nell’esercizio delle funzioni parlamentari.

In sostanza, la questione è diversa se la si guarda dal punto di vista dell’aula e dal punto di vista del partito.

Dal seggio parlamentare l’eletto non potrà decadere per la semplice ragione di essersi discostato dal mandato ricevuto attraverso il partito.

Nella vita del partito, invece, per tale ragione ben potrà l’eletto subire determinati provvedimenti disciplinari.

Sarebbe quindi corretto che Giovanni Sartori riconoscesse piena legittimità all’organizzazione scelta dal M5S ed ai rimedi che il movimento ha stabilito di assumere verso chi non ne segua la linea politica (espulsioni, sanzioni, etc.).

In fondo, quanti di noi non hanno pensato, vedendo un eletto in lacrime perché espulso: “be’, nessuno gliel’ha imposto di farsi eleggere con il M5S”.

Pertanto, viva la libertà di autodeterminazione dei partiti e la sana competizione tra gli stessi.

Altro discorso è come coordinare fra di loro le disposizioni dell’art. 67 Cost. e dell’art. 49 Cost. (quest’ultima senza alcuna attuazione da parte delle leggi ordinarie).
E’ innegabile, infatti, che il parlamentare che cambia casacca o che si discosta senza valida ragione dalla linea del partito perde, se non la rappresentanza generale (che l’art. 67 continua a garantirgli), la rappresentatività di quella fetta di elettorato che ha inteso dargli fiducia attraverso il partito che ne ha appoggiato la candidatura (secondo quanto previsto dall’art. 49).

Ha, quindi, forse ragione la più recente dottrina quando sostiene che il partito, pur da un punto di vista particolare, reca pur sempre con sé una visione generale della Nazione. Una visione particolare dell’interesse generale.  

Anche il divieto di vincolo di mandato va quindi, forse, ripensato e coordinato con l’art. 49 Cost.
L’occasione non potrebbe che essere la stesura di quel Codice dei Rapporti Politici di cui tanto, oggi, ci sarebbe bisogno per ripensare ex novo l’istituto della rappresentanza parlamentare.

Nel nostro piccolo, fino ad allora, continueremo a battere questo e molti altri chiodi.

 

 



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