Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali
Tempi burrascosi per la relazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Il rifiuto della monarchia saudita di divenire membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è l’ultimo di una serie di colpi diplomatici inferti allo stretto rapporto tra i due paesi e un messaggio chiaro: Riyadh non è soddisfatta dei recenti cambiamenti di rotta della politica americana in Medio Oriente.
Pur non essendo la prima volta che i due alleati si trovano ad affrontare un momento critico nei loro rapporti bilaterali – era già successo durante la guerra civile in Iraq e durante la guerra in Libano nel 2006 – le attuali divergenze potrebbero scaturire da e allo stesso tempo essere la causa di un generale ripensamento dell’architettura di sicurezza nella regione del Golfo.
Per decenni le relazioni tra Riyadh e Washington si sono basate su un tacito accordo: sicurezza in cambio di petrolio. Consapevoli della propria vulnerabilità di fronte all’ascesa del loro avversario regionale, l’Iran, i paesi della penisola arabica hanno costruito attorno a sé uno scudo protettivo costituito dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei.
Questo tacito accordo potrebbe essere sul punto di essere rivisto, se non altro perché una delle due parti, gli Stati Uniti, sta attraversando una fase di ri-orientamento strategico dei propri interessi nella regione, anche alla luce della propria maggiore autonomia in termini di approvvigionamento energetico.
Siria, Iran ed Egitto sono al centro di questo ri-orientamento delle priorità americane nella regione che porta i sauditi a parlare di un “tradimento” da parte del loro storico alleato.
Fratelli Musulmani
Il contrasto tra Washington e Riyadh sul dossier egiziano è andato maturando nel tempo e si è manifestato in tutta la sua portata dopo gli eventi del luglio scorso che hanno posto fine al governo della Fratellanza Musulmana. Il timido, ma costante tentativo americano di dialogare con il partito islamista uscito vittorioso dalle elezioni del 2011-12 non è stato visto di buon occhio dall’Arabia Saudita, ostile nei confronti della Fratellanza.
Dopo la deposizione per mano militare del presidente islamista Mohammed Mursi, Riyadh ha offerto un generoso sostegno al regime dei militari e ha criticato la politica americana in Egitto come fallimentare. Al di là dell’annuncio di sospendere la consegna di alcuni elicotteri e carri armati, Obama non sembra intenzionato a rivoluzionare la relazione con il Cairo. Su questo fronte, Riyadh aspetta per ora la prossima mossa.
Scacchiere siriano
Ben più rilevanti sembrano essere le distanze tra Washington e Riyadh sulla Siria. La decisione di Obama di non intervenire militarmente contro al-Assad è stata uno shock per Riyadh che ha manifestato la propria volontà di giocare un ruolo ancora più assertivo nella crisi siriana per cercare di far fronte all’isolamento prodotto dall’accordo russo-americano sulle armi chimiche.
Le voci circa il tentativo di creare un nuovo esercito nazionale (l’esercito dell’Islam) – formato al di fuori della Siria, secondo alcuni con la cooperazione del Pakistan, e in grado di sconfiggere al-Assad – sono un segnale concreto dell’insoddisfazione saudita nei confronti della “codardia” americana.
Più in profondità, l’allontanamento tra Riyadh e Washington sulla Siria è stato influenzato dal nuovo corso delle relazioni tra Stati Uniti e Iran. La creazione di un fronte comune tra le due parti contro il proliferare del jihadismo in Siria rappresenterebbe una vera e propria catastrofe per Riyadh.
Una negoziazione con l’Iran che lasci irrisolta la questione siriana verrebbe a significare che la strada per Tehran non passa più per Mosca, Riyadh e Damasco, cosa su cui di fatto l’Arabia Saudita ha basato i propri calcoli negli ultimi tre anni.
Silvia Colombo è ricercatrice dello IAI.