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Unicredit, Intesa e Mps. Debolezze e furbate delle banche italiane

Ripresa lenta e aumento delle sofferenze. Sono queste le caratteristiche del sistema bancario italiano secondo lo studio semestrale del Centro Europa Ricerche (Cer), istituto di ricerca fondato nel 1981 su iniziativa di Giorgio Ruffolo e di un gruppo di economisti, che sottolinea però come erogazione del credito e tassi a famiglie e imprese siano rimasti sostanzialmente invariati, nonostante gli stimoli espansivi della Bce guidata da Mario Draghi. E a brillare non sarebbe neanche il trend nella capitalizzazione bancaria.

La ripresa lenta

La ripresa della congiuntura nel settore bancario rimane lenta, “con un ritardo motivato dal netto peggioramento intervenuto nella qualità del credito erogato. Un fenomeno, quest’ultimo, non ancora destinato a esaurirsi: la nostra previsione segnala un possibile aumento delle sofferenze, le cui dimensioni arriverebbero al 12,7 per cento degli impieghi nel 2015-16”, si legge nel report.

La contrazione del Roe

Anche la redditività bancaria “si sta riprendendo con passo lento. Quest’anno, secondo le nostre valutazioni, il Roe (Return On Equity, l’indice di redditività del capitale proprio) delle banche italiane registrerà una contrazione (-0.2 per cento), sostanzialmente in linea con quella sperimentata nel 2012 (-0,7 per cento) e con la media del periodo 2008-2012 (-0.5 per cento). Nel periodo di previsione, la redditività torna ad aumentare, ma con saggi molto contenuti, fino al 2,7 per cento atteso per il 2016. Valori al di sotto della media registrata nel precedente decennio”.

La riduzione dei costi operativi

Ma se i ricavi non aumentano, a calare sarebbero i costi. Con riferimento ai conti economici, le fonti di ricavo del settore bancario, sia da interessi sia da altri servizi bancari, sono attese rimanere “sostanzialmente stabili se rapportate al totale attivo. Un contributo al miglioramento del risultato economico dovrebbe invece derivare dalla riduzione dei costi operativi, la cui incidenza sul totale attivo è attesa passare dall’1,3 per cento del 2012 all’1,1 del 2016. Il miglioramento del quadro macroeconomico consentirebbe di contenere gli accantonamenti, soprattutto quelli a copertura del rischio di credito”.

La svolta nel 2014

Queste tendenze “si traducono in un utile netto negativo nel 2013, che stimiamo pari a circa un miliardo di euro e che segue la contrazione di due miliardi e mezzo nel 2012. Il prossimo anno, l’industria bancaria dovrebbe però tornare a produrre utili per circa 3,5 miliardi, che passerebbero a quasi 8 miliardi nel 2015 e a 12 miliardi nel 2016”.

Famiglie e imprese restano soffocate…

Gli effetti sulle politiche creditizie? “Anche negli ultimi sei mesi i criteri per l’erogazione dei finanziamenti alle imprese si sono mantenuti rigidi (è continuato invece l’acquisto di Titoli di stato, con un aumento di 70 miliardi nella prima metà dell’anno). Nella media del 2013, stimiamo una flessione dei finanziamenti di circa il 5 per cento. A partire dal 2014 il credito tornerebbe ad affluire alle imprese con un tasso contenuto (1,6 per cento). Incrementi maggiori sono attesi solo per il 2015 e 2016. Per le famiglie, gli impieghi sono previsti ridursi di poco meno di un punto percentuale nell’anno in corso, per poi aumentare dell’1 per cento nel 2014 e consolidare l’incremento nei due anni successivi”.

…ma con tassi d’interesse record

Sul versante dei tassi d’interesse, evidenzia il report, “si registra un ritardo di quelli applicati a famiglie e imprese nell’incorporare l’impostazione espansiva della politica monetaria. Il tentativo di migliorare la redditività sta scaricando sulla clientela italiana un carico da interessi tra i più elevati tra quelli dei principali paesi europei, superiore anche a quello della Spagna. Sono soprattutto le imprese di piccola dimensione e le famiglie consumatrici a dover sostenere i maggiori oneri finanziari. Tale maggior onere non trova però un adeguato fondamento se si osserva la dinamica della rischiosità dei diversi prenditori”.

La capitalizzazione

Il livello di capitalizzazione delle banche italiane, non corretto per il rischio, se da un lato appare adeguato, anche in un confronto internazionale, dall’altro non mostra però segnali di miglioramento. “Le banche dei paesi Gips (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) hanno registrano una leva di 8, in costante e rapida riduzione; le banche italiane si attestano a 10,8, dato paragonabile a quello di due anni prima. Più in alto, ma con andamenti decrescenti, i valori della leva delle banche dei paesi dell’area euro (13,1). Il valore medio del Tier 1 (indicatore della solidità patrimoniale delle banche espresso in percentuale, anche noto come Patrimonio di classe 1) è pari a 12,2. Sopra questa soglia si posizionano i sistemi bancari belga, tedesco, finlandese, francese, irlandese e olandese. Il dato italiano è inferiore alla media e si situa a 10,7, cresciuto di un punto tra 2011 e 2012, meglio della Spagna, che ha visto ridursi il valore, ma peggio di Francia (+2,4) e Germania (+2,2). Questi dati confermano il deleveraging in corso, ma evidenziano che questo processo si è recentemente arrestato per le banche italiane”, conclude lo studio Cer.



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