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“Il nuovo Consiglio dell’Ordine dei giornalisti del Lazio rivede il percorso per gli aspiranti pubblicisti. Il Consiglio, nel rivedere le regole e la prassi per l’iscrizione all’elenco dei giornalisti pubblicisti, ha deciso di abolire l’obbligatorietà del colloquio con il Candidato. Per ottenere il tesserino sarà necessario dimostrare di aver collaborato, in forma retribuita e continuativa per 24 mesi, con una o più testate regolarmente iscritte al registro della stampa e che abbiano un direttore responsabile giornalista professionista o pubblicista. Al termine dei 2 anni di collaborazione l’aspirante pubblicista dovrà presentare la documentazione prevista dal modulo di iscrizione e dimostrare di aver percepito almeno 5000 euro lordi nel biennio, e di aver pubblicato almeno 80 articoli. Sarà il Consiglio a valutare la correttezza dei requisiti presentati. Solo in caso di dubbi e necessità di ulteriori chiarimenti il richiedente/la richiedente saranno convocati per un colloquio.” (Ordine dei giornalisti di Roma)
Ho sostenuto l’esame in un anno, il 2012, nel quale era stata paventata l’ipotesi di chiudere del tutto l’albo dedicato ai giornalisti pubblicisti. Eventualità sfumata, in parte, ma che aveva aperto una discussione circa il valore dell’albo, dell’ordine e della categoria professionale.
Credo che il colloquio dell’esame da giornalista pubblicista, che si sostiene, non solo nel Lazio, costituisca un momento fondamentale per la formazione del giornalista stesso. Tra le materie di studio richieste vi sono, tra l’altro, il diritto costituzionale, le carte delle quali l’Ordine si è dotato nonché la legge circa l’ordinamento della professione stessa . Ho studiato ed approfondito il mio ruolo come giornalista, e compreso quali sarebbero stati i miei diritti e doveri, primo tra tutti “il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”, citando la suddetta legge del 3 febbraio 1963, n.69 versione aggiornata al dlgs 26 marzo 2010, n.59. Materiale prezioso, questo, che ho potuto attingere proprio dal sito del mio ordine di appartenenza, quello del Lazio appunto.
Il colloquio è stato, in qualche modo, il coronamento di questo percorso che va oltre la consegna di documenti contabili ed articoli fotocopiati, per dimostrare che qualcuno ha dato l’occasione di scrivere su una testata. L’esame orale obbliga e consente di conoscere le regole che stabiliscono i confini tra privacy e pettegolezzo, tra notizia e morbosità.
Conferire una qualifica di giornalista pubblicista a chi non si è verificato che abbia le conoscenze teoriche e legislative della professione, affidando del tutto quest’aspetto alla formazione, presunta, che dovrebbe essergli/le stata impartita durante i 24 mesi di supposto lavoro all’interno di una redazione giornalistica, aumenta ulteriormente la forbice tra professionisti e pubblicisti consegnando in maniera esclusiva ai primi il ruolo di detentori di una deontologia ed un’etica.
Riconoscere un ruolo alla categoria “giornalisti”, con le dovute e doverose differenze, credo non passi assolutamente per la semplificazione del percorso di pubblicisti, tutt’altro, dovrebbe essere basato su una virtuosa alleanza tra i due “elenchi” di appartenenza, con l’obiettivo comune di perseguire quella verità, anche essendo precari, anche a fronte di 1 euro a pezzo. Non creiamo l’ennesima differenza, che porterà a dover dare nuove spiegazioni, e a dover specificare, dopo la canonica domanda “ma lei è professionista o pubblicista?” “pubblicista, però ho fatto anche l’esame orale”.
Se aumenterà il livello di professionalità richiesta ne gioverà senz’altro anche la nostra dignità.