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Vi spiego le pazzie della voliera chiamata Pdl e del Pd renziano

A dispetto delle apparenze, che nella voliera del Pdl, o nuova Forza Italia, rendono Angelino Alfano il più odiato dai “falchi” o “lealisti”, è Gaetano Quagliariello l’uomo guardato e trattato da quelle parti come il peggiore. Sospettato di un rapporto troppo privilegiato e inquietante non tanto con il presidente del Consiglio Enrico Letta, che ha maggiori occasioni istituzionali di frequentazione con Alfano nel ruolo di vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, quanto con il capo dello Stato. Al quale la tifoseria berlusconiana più accesa rimprovera le maggiori responsabilità politiche della mancata “pacificazione” dopo le cosiddette larghe intese, propedeutiche prima alla sua rielezione al Quirinale e poi alla formazione dell’attuale governo.

I TIFOSI VISCERALI E IRRAZIONALI

A questa tifoseria, irrazionale e viscerale come solo una tifoseria, appunto, riesce ad essere nei passaggi più emotivi, è ormai inutile ricordare la decisione di Giorgio Napolitano di promulgare a tamburo battente, nel suo primo mandato, fra le proteste di Antonio Di Pietro e compagnia di giro politico, lo scudo giudiziario dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Scudo che era rappresentato dal “lodo” dell’allora guardasigilli Alfano”, poi bocciato dalla Corte Costituzionale con una sentenza di cui la principale vittima politica non fu il Cavaliere ma proprio il capo dello Stato, visto il modo inusuale in cui egli si era esposto per promulgare la legge, con tanto di motivazione ufficiale.

GLI SFORZI DI NAPOLITANO

Altrettanto inutile è ricordare i tempi imposti, anch’essi inusualmente, da Napolitano nel 2010 all’offensiva parlamentare della sfiducia al governo Berlusconi avviata addirittura negli uffici non più neutrali dell’allora presidente della Camera Gianfranco Fini. Tempi che, pur dettati dall’obbligo di garantire la preventiva approvazione della legge finanziaria del 2011, si risolsero a vantaggio del governo, non certo contro. Né vale ricordare la decisione presa da Napolitano nell’autunno successivo, di fronte al devastante assalto speculativo contro i titoli del debito pubblico italiano, di ricorrere al governo tecnico di Mario Monti e non alle elezioni anticipate. Che avrebbero sicuramente comportato in quel momento, oltre al marasma finanziario, la vittoria del Pd e la sconfitta del Pdl. Una cosa, questa, che nel partito della sinistra post-comunista e post-democristiana ancora si rimprovera a Napolitano, pur dietro un certo, comprensibile riserbo dovuto al ruolo e alla provenienza politica del capo dello Stato.

I NO DEL QUIRINALE ALLE VELLEITA’ BERSANIANE

Non vale inoltre ricordare – sempre a certa tifoseria berlusconiana – il rifiuto ripetutamente opposto da Napolitano dopo le elezioni di febbraio al tentativo dell’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani di fare un governo velleitariamente minoritario di generico “cambiamento” ma di specifico “combattimento”: contro Berlusconi, sorprendentemente scampato alla devastante sconfitta elettorale preconizzatagli, insieme, dalla sinistra, dai grillini e dagli aspiranti terzopolisti di Monti. Né vale infine ricordare, dopo la sua rielezione al Quirinale e la formazione del governo di Enrico Letta, i ripetuti appelli di Napolitano al senso di responsabilità delle toghe in prossimità degli appuntamenti giudiziari più rischiosi per Berlusconi: appelli disattesi dai giudici feriali della Cassazione ma che ancora oggi vengono rinfacciati al presidente della Repubblica dalla stampa più fiancheggiatrice delle Procure.

IL TRADITORE E MENAGRAMO 

Tutto questo, ripeto, è diventato inutile. Il capo dello Stato è scambiato su certi spalti del centrodestra per un nemico e il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello per una specie di menagramo – peggio di un “traditore” – a causa del “rischio di una crisi di sistema” da lui avvertito, e denunciato, di fronte alla prospettiva di una caduta del governo come effetto della decadenza di Berlusconi da senatore, se a tanto la sinistra a trazione grillina dovesse riuscire ad arrivare a fine novembre. E per giunta a scrutinio scandalosamente palese, lesivo cioè di quella libertà che solo lo scrutinio segreto può garantire in occasioni del genere a parlamentari eletti “senza vincolo di mandato”, come prescrive l’articolo 67 della Costituzione.

QUAGLIARIELLO TROPPO OTTIMISTA?

Ebbene, se un rilievo si può fondatamente muovere a Quagliariello è quello di essere sin troppo ottimista nella valutazione di una eventuale caduta del governo. Più che un “rischio”, la crisi di sistema è purtroppo una realtà nella quale l’Italia si dibatte da lungo, anzi lunghissimo tempo. Una realtà alla quale è ora di rimediare, viste anche le concomitanti crisi economica, finanziaria, sociale e politica, non con l’inseguimento di un altro governo, o con un nuovo ricorso anticipato alle urne, senza neppure uno straccio d’intesa su come cambiare una legge elettorale chiamata “porcata” dal suo stesso autore leghista, ma finalmente con il varo di una riforma, appunto, di sistema.

CERCANSI DISPERATAMENTE RIFORME

Una riforma costituzionale che proprio questo governo ha messo in cantiere. E che, tanto generosamente quanto inutilmente tentata proprio da un governo Berlusconi nel 2006, ma naufragata nella rivoltante campagna referendaria della sinistra più conservatrice, l’Italia attende dal 1979. Quando, reduce dal primo e sfortunato tentativo di  formare un suo governo, e consapevole anche del gravissimo trauma inferto l’anno prima alle istituzioni dal barbaro assassinio di Aldo Moro, la “Grande Riforma” fu proposta da Bettino Craxi. “Mi raccomando, Riforma sempre con la maiuscola”, disse il segretario del Psi alla dimafonista dell’Avanti che trascriveva il 27 settembre di trentaquattro anni fa il suo articolo.

UNA PREGHIERA FINALE

Trentaquattro anni purtroppo perduti, condivisi dalla prima e dalla seconda Repubblica in una continuità semplicemente drammatica. Che ha prodotto anche quelle “esasperazioni di parte in un clima avvelenato e destabilizzante” lamentate da Napolitano al Quirinale nell’incontro con Papa Francesco. Alle cui preghiere purtroppo non basta affidarsi.

Francesco Damato  


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