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I travagli di Berlusconi e Alfano

Hanno scelto il nome, per quanto provvisorio, di “Nuovo Centrodestra” ma potrebbero finire per chiamarsi “Chiarini” Angelino Alfano, Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi  e tutti gli altri che hanno preferito uscire dal Pdl piuttosto che seguire Silvio Berlusconi e i suoi cosiddetti falchi nel ritorno a Forza Italia. Chiarini da Santa Chiara, che è il nome dell’ex convento nel quale, a due passi dal Senato, si è praticamente consumata la scissione del movimento berlusconiano, quando è arrivata per telefono al ministro Quagliariello, lì convenuto con altre “colombe”, la risposta negativa del Cavaliere all’ultima ipotesi di accordo per un passaggio festosamente unanime dal Pdl a Forza Italia.

Chiarini da Santa Chiara, come Dorotei – da Santa Dorotea – finirono per essere chiamati nel 1959 i parlamentari e consiglieri nazionali della Democrazia Cristiana, riunitisi in un omonimo ex convento per rompere con Amintore Fanfani sul tema dei rapporti con il Partito Socialista per la preparazione del centro-sinistra. Adesso invece la rottura di Alfano con Berlusconi si è consumata di fatto sul rapporto con il Partito Democratico dei post-comunisti e post-democristiani di sinistra. Un partito con il quale Alfano e i suoi sono disposti a rimanere nella compagine ministeriale delle cosiddette larghe intese guidata da Enrico Letta, anche se esso dovesse concorrere alla decadenza di Berlusconi dal Senato. Che è stata programmata nell’aula di Palazzo Madama a fine novembre per effetto della cosiddetta e controversa legge Severino, dopo la condanna definitiva per frode fiscale comminata in agosto all’ex premier dalla sezione feriale della Corte di Cassazione.

BERLUSCONI-FANFANI E ALFANO-MORO?

Certo, situazioni e personaggi sono diversissimi. Per quanto accomunati da una certa tenacia di carattere, o da quel “Rieccolo” di memoria montanelliana, Berlusconi non è un Fanfani redivivo. E Alfano non è paragonabile ad Aldo Moro, che nel 1959 prese il posto del dimissionario Fanfani alla guida della Dc. Piuttosto, e con molta buona volontà, la vicenda personale e politica di Alfano potrebbe ricordare quella, anch’essa democristiana, di Arnaldo Forlani. Che, cresciuto nella scuderia fanfaniana come dirigente locale, poi parlamentare, poi ancora vice segretario e persino come segretario del partito, dall’autunno del 1969 alla primavera del 1973, volle e seppe emanciparsi dal suo capocorrente. Sino a rompere con lui e tornare alla segreteria del partito nel 1989 con le sue gambe, tessendo propri rapporti di alleanza con altre correnti e altri esponenti del movimento scudocrociato.

ALFANO E LE SIMILITUDINI CON LA LEGA CHE SI SFILO’

Più simile, per certe circostanze politiche, può essere l’attuale scissione del centrodestra alla rottura avvenuta, sempre nel centrodestra, alla fine del 1994 fra la Lega e la già allora Forza Italia, più direttamente fra Umberto Bossi e Berlusconi, dopo soli sei mesi di alleanza. Allora Bossi fu in grado di rompere con Berlusconi, facendone cadere il primo governo nonostante le forti e manifeste resistenze del ministro leghista dell’Interno Roberto Maroni, grazie alla garanzia assicuratagli dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro di non correre il rischio di immediate elezioni anticipate. Dalle quali la Lega avrebbe potuto uscire con le ossa rotte.

COSA SUCCESSE NEL ’96

In effetti, le elezioni anticipate arrivarono solo nel 1996, dopo una transizione di poco più di un anno garantita dal governo di Lamberto Dini. Una transizione sufficiente a permettere a Bossi di riassorbire le divisioni nella Lega e di riportare il Carroccio alle urne in condizioni di sicurezza. Come probabilmente Alfano e i suoi sperano con il loro nuovo partito di arrivare nel 2015, se le elezioni anticipate non dovessero sopraggiungere prima, già nella prossima primavera, per volontà o responsabilità di un Pd nel frattempo passato sotto la guida di Matteo Renzi. Che sta correndo per la segreteria, appunto, del suo partito con la non nascosta ambizione però di succedere al suo pur “caro amico Enrico” a Palazzo Chigi

NAPOLITANO NON AVRA’ BISOGNO DI UN NUOVO DINI

La consistenza parlamentare di Alfano e del suo “Nuovo Centrodestra” consente ora al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di non ricorrere a un nuovo Dini, come capitò a Scalfaro nel 1995, ma di garantire la prosecuzione della legislatura con il governo attuale, salvo i già enunciati imprevisti del Pd per effetto degli avvicendamenti congressuali in programma fra meno di un mese.

IL PARALLELO CON LA VICENDA MANCUSO

A movimentare, sino a minacciare, la vita del governo Dini nel 1995 fu la vicenda del suo ministro della Giustizia Filippo Mancuso, incorso nei furori della magistratura e della sinistra per le ispezioni disposte a carico della Procura della Repubblica di Milano, sospettata di abusi nelle indagini note come “Mani pulite”. Il governo si salvò sacrificando Mancuso, sfiduciato al Senato con una mozione sulla cui legittimità l’interessato poi ricorse inutilmente alla Corte Costituzionale.

IL CASO CANCELLIERI

Assai curiosamente, per non dire di peggio, anche la già sofferta sopravivenza del governo Letta potrebbe trovarsi minacciata dalle sorti del suo guardasigilli. Che è Anna Maria Cancellieri, a rischio di sfiducia nelle aule parlamentari, su iniziativa dei grillini ma con molti mal di pancia anche nel Pd, per i suoi trascorsi personali, e non solo telefonici, con i Ligresti travolti da guai giudiziari.



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