Altro che playboy. Il vero antagonista di Andrea Bonomi in Bpm potrebbe avere l’aspetto di un grigio burocrate e la passione di uno che arriva dallo sportello e che di mestiere fa il sindacalista da sempre. Non sarebbe dunque Raffaele Mincione, il finanziare romano-londinese secondo azionista di Piazza Meda, la minaccia da combattere. Bensì Massimo Masi, il capo della Uilca, il sindacato che raccoglie la maggioranza delle quote dei dipendenti soci nell’azionariato.
IL PASIONARIO ARRIVATO DALLO SPORTELLO
Tratteggiare le caratteristiche di Masi, 60enne da cinque anni a capo del sindacato dei lavoratori del credito della Uil, non è facile. Schivo e a tratti misterioso, di lui si sa che in precedenza aveva militato per trent’anni nel sindacato dei bancari dove ha ricoperto la carica di segretario responsabile prima di Bologna e poi dell’Emilia e Romagna, e dal 2000 lavorava in segreteria nazionale. Quando subentrò a Elio Porino, dopo 26 anni, nel discorso di insediamento subito puntò l’accento sui “problemi causati dai sistemi incentivanti per i lavoratori del credito, sia in ordine all’eticità sia in ordine alle pressioni commerciali a cui i lavoratori bancari sono soggetti quotidianamente dai loro superiori”.
LE PERPLESSITA’ SUI BANCHIERI
E che sia un duro e pure del sindacalismo più tradizionale, lo dimostrano molti altri episodi che lo hanno visto protagonista nel corso della sua carriera recente proprio relativamente a Bpm. Quando Piero Montani, fuoriuscito dal board a fine ottobre, con quanto ne è conseguito in termini di ostilità tra Bonomi e Mincione, fu nominato, a gennaio 2012, consigliere delegato di Bpm, con uno stipendio da far impallidire qualsiasi bilancio in tempo di crisi, Masi non poté esimersi dal manifestare una “forte perplessità”.
VADE RETRO BANCA PER AZIONI E BANCHIERI-NONNI
Cosa ne pensi Masi il pasionario dei tentativi di trasformare la popolare in società per azioni è lapalissiano: non s’ha da fare. E dal canto suo cercherà in ogni modo di impedirlo. Intanto, lunedì 18 novembre si terrà il coordinamento interno del sindacato e con ogni probabilità si affronterà la vicenda Mincione. “Mincione? Non lo conosco e non conosco Dini (che dovrebbe comparire come capolista della compagine del finanziere, ndr). Ma io sono contro i nonni nelle banche come Bazoli e Guzzetti. Dire che Dini rappresenta il nuovo è eccessivo: è una persona stimatissima, ma datata”. La ricetta Masi si sintetizza in tre regole: rinnovamento totale dei vertici, politica fuori ma vicinanza alle pmi del territorio, conservazione dello status di popolare.
IL PROGETTO DI UNA LISTA CONGIUNTA
Secondo le voci, Masi – che ha dichiarato di non sapere ancora se astenersi dalle votazioni o partecipare al gioco con un elenco di nomi super partes – starebbe in realtà già lavorando a una lista congiunta con l’altro sindacalista più forte in termini di partecipazioni, Lando Sileoni della Fabi. Quanto al rispetto delle regole da lui stesso tacitamente fissate, però, la presenza dell’ex ministro Piero Giarda a capo della sua compagine, potrebbe in effetti risultare stridente. Il 25 novembre, termine ultimo per la presentazione delle liste, si giocherà a carte scoperte.
IL COLLETTORE SINDACALE
Quello che di certo c’è, ancora, è che Masi sa raccogliere le istanze della base e questo potrebbe essere spiazzante per Mincione, che in effetti vorrebbe scalzare Bonomi ricalcandone il percorso. Masi non usa mezzi termini per scagliarsi contro i banchieri “che dovrebbero dare il buon esempio, tagliandosi gli stipendi”. E che dovrebbero, “prendere atto di un fallimento, di fronte a risultati negativi”, ottenuti sul campo e in piazza il 31 ottobre, giorno del maggior sciopero dei bancari della storia recente.
LE CRITICHE A BONOMI
Anche su Bonomi non si è risparmiato. “Bonomi ha sbagliato nel momento in cui non ha coinvolto lavoratori della Bpm e sindacati nella modernizzazione dell’istituto, nel miglioramento dei requisiti e degli indirizzi degli organi di governance, perdendosi in questioni laterali come il voto a distanza in assemblea”. Complice anche Bankitalia, perché “è un problema di trovare manager capaci, non di forma societaria” e lo dimostrano esempi come quello di “Tercas, su cui è intervenuta Popolare di Bari, e di Popolare di Spoleto salvata da Desio: entrambe hanno riportato conti semestrali migliori delle Spa”.
La sfida è lanciata e, forse, la cooperativa è salva.