Tutto si è svolto a bassa intensità nell’aula di Montecitorio, dove è stata respinta la mozione di sfiducia dei grillini contro la ministra della Giustizia ed ex prefetto Anna Maria Cancellieri.
LE BASSE INTENSITA’
Per cominciare, a bassa intensità di illuminazione, forse per risparmiare sul consumo dell’energia elettrica, visto che non si riesce a fare di più e di meglio con altre spese. A bassa intensità acustica, per qualche accidente tecnico che ha creato per buona parte della seduta problemi di ascolto, almeno nelle tribune del pubblico e della stampa. Ma soprattutto a bassa intensità di chiarezza politica per i tanti “però”, detti e non detti, che hanno accompagnato gran parte sia dei 154 sì sia dei 405 no all’iniziativa dell’opposizione pentastellare.
LE LACERAZIONI NEL PD
Mi riferisco, in particolare, ai “però” dei sì per l’obiettivo politico della mozione, contro il governo, e non personale, come avrebbe voluto il carattere obbligatoriamente e dichiaratamente “individuale” della mozione. E ai “però” dei no per le riserve a carico del ministro che sono state ribadite, addirittura nella cosiddetta dichiarazione di voto, dal segretario del maggiore partito del governo, il Pd. Nel cui gruppo, d’altronde, erano più i deputati tentati dalla sfiducia che quelli convinti della fiducia, faticosamente ricompattati a favore della ministra in una tormentata assemblea da un intervento di Enrico Letta a gamba tesa. O a “palle d’acciaio”, come direbbe forse il giornalista irlandese salito per questa espressione nei giorni scorsi sul palcoscenico della stampa internazionale con una intervista proprio al presidente del Consiglio italiano, sui rapporti con l’Unione Europea.
LE FACCE DI EPIFANI
Dopo essersi rifiutato, nell’assemblea di gruppo, di “metterci la faccia” trincerandosi dietro il carattere transitorio del suo mandato di partito, ma finendo così per mettercela nel peggiore dei modi, Guglielmo Epifani ha contestato alla ministra Cancellieri le parole di preventivo e assoluto rispetto dei suoi doveri istituzionali che le sarebbero mancate il 17 luglio scorso, nella famosa intervista di solidarietà umana e di amicizia alla convivente di Salvatore Ligresti, appena incorso con due figliole – e con un figlio riparatosi oltre confine – in una retata giudiziaria sotto l’accusa di gravi reati per la gestione dei suoi affari assicurativi.
LA PROTEZIONE DEL GOVERNO
Più che per la correttezza, o insospettabilità, o buona fede della Guardasigilli, ha quindi pesato sulla sua assoluzione politica da parte del Pd la necessità di proteggere il governo, almeno in questo passaggio, dal rischio di crisi implicito nella solidarietà totale ribadita all’ex prefetto dal presidente del Consiglio, ma per via non tanto informale anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che ben prima dell’appuntamento con la Camera, e proprio in vista di questo, aveva esplicitamente incoraggiato la ministra a proseguire nel suo compito di governo, apprezzando la decisione appena presa e annunciata dalla magistratura di Torino, alle prese con l’affare Ligresti, di non indagarla.
LA GUERRA PIDDINA A BASSA INTENSITA’
Gli argomenti usati dallo stesso segretario Epifani per allineare alle ragioni di governo, o di Stato, un partito come il suo, impegnato peraltro nella fase conclusiva e rovente di un congresso praticamente già vinto da un critico dichiarato e ostinato della Cancellieri come Matteo Renzi, sono la conferma di un’altra bassa intensità dell’assalto al Guardasigilli. Bassa intensità addirittura istituzionale, perché la legittimità della mozione “individuale” di sfiducia contro un ministro – per giunta quello della Giustizia, l’unico a godere di una citazione e copertura costituzionale per la facoltà riconosciutagli dall’articolo 107 di “promuovere l’azione disciplinare” nei riguardi dei magistrati – si regge sulle gambe un po’ troppo ingessate di una sentenza della Corte Costituzionale. Che ritenne di dover fornire un avallo alla prima sfiducia “individuale” arrivata al suo esame su ricorso dell’interessato: un altro Guardasigilli, Filippo Mancuso, ex Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma, che nel 1995, non potendo essere rimosso dai presidenti della Repubblica e da quello del Consiglio dei Ministri, cui doveva la nomina, fu deposto dal Senato, appunto con la sfiducia “individuale”, per avere mandato gli ispettori nei potentissimi uffici giudiziari di Milano. Dove le indagini sul finanziamento illegale dei partiti, e sulla corruzione che spesso l’avevano accompagnato o preceduto, avevano determinato la fine della cosiddetta Prima Repubblica.
UN CASO DI BASSA INTENSITA’ POLITICA
Di bassa intensità, questa volta persino umana, è apparsa anche l’ultima sorpresa dello spettacolo alla Camera sull’affare Cancellieri. E’ la dichiarazione di voto contro la ministra, espressa in dissenso dal proprio gruppo parlamentare di appartenenza, quello della rinata Forza Italia, da Micaela Biancofiore. Che in un intervento diretto anche contro il presidente del Consiglio ha voluto profittare dell’occasione per vendicarsi politicamente del torto subìto con la decisione di Enrico Letta di accettarne le dimissioni da sottosegretario, dopo avere respinto quelle di tutti gli altri esponenti di governo dell’allora Pdl che a fine settembre avevano rimesso i loro incarichi per allinearsi alle direttive di Berlusconi per la crisi, prima del clamoroso e improvviso ripensamento del 2 ottobre nell’aula del Senato.
Francesco Damato