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Eni, Enel e Finmeccanica, ecco perché privatizzare non è un reato

Per ridurre il debito pubblico, il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni (nella foto) presenterà un massiccio programma di privatizzazione di beni e partecipazioni dello Stato, esente da qualsiasi veto e tabù, quindi comprensivo anche delle quote di controllo di Eni, Enel, Finmeccanica. Si sono subito levate voci critiche, come quella autorevole di Giulio Sapelli su Formiche.net, preoccupate che così facendo l’Italia subirebbe un vero e proprio saccheggio.

Qui propongo un’analisi opposta. Quando nel 1992 il governo Amato abolì gli enti di gestione, i relativi fondi di dotazione e trasformò Iri (controllante Finmeccanica), Eni ed Enel in altrettante società per azioni di diritto privato, in quello stesso momento lo Stato rinunciò a chiedere loro di perseguire finalità pubblicistiche, dovendo essere curare da allora in poi la remunerazione del capitale dei soci privati e di quelli pubblici, i quali ultimi si sarebbero dovuto comportare come i privati. Vediamo nel volgere degli anni cosa è successo a ciascuna delle tre società.

Riguardo l’Enel, fu ripensato il concetto di monopolio naturale, la Commissione europea caldeggiò il diritto di accesso dei terzi alla rete e la separazione tra infrastruttura in monopolio e servizio in concorrenza. Nacque l’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Nell’interesse di consumatori e imprenditori italiani, per far entrare nuovi operatori, l’Italia ridusse la capacità di generazione elettrica del monopolista. L’Enel dovette cedere anche la rete di trasmissione a Terna e quelle di distribuzione locale alle società municipali; si dedicò perciò ad acquisire partecipazioni fuori dal proprio territorio, pagandole con gli introiti delle dismissioni e talvolta a debito. Oggi vende energia all’estero (60 per cento) più che in Italia (40 per cento). Nella produzione, il rapporto è: tre quarti dell’energia è prodotta fuori e un quarto da noi. Prima conclusione: se l’Enel sarà privatizzata, l’Italia non subirà alcun saccheggio.

All’Eni tutti i governi, ma soprattutto quelli guidati da Berlusconi, hanno di fatto appaltato e aziendalizzato la politica estera italiana che perciò si è indebolita. L’amministratore delegato dell’Eni ha trattato non con gli omologhi capi azienda ma, su delega del premier, con ministri e capi di governo, da Gheddafi a Putin. Solo grazie alla sua bravura, è riuscito a conciliare redditività del capitale e attività cripto-governativa. Alla fine, nonostante l’enorme potere così conquistato sul campo, ha dovuto cedere a Cassa depositi e prestiti la Snam e la rete gas in monopolio naturale.
Seconda conclusione: se l’Eni sarà privatizzata, il governo italiano dovrà tornare a far da sé la politica estera e comunque l’Italia non subirà alcun saccheggio.

Stesso discorso vale per Finmeccanica e la politica della Difesa. L’amministratore delegato ha trattato con i governi di tutti i Paesi. Stesse conclusioni, con l’aggiunta di delicati e prevedibili risvolti penali.


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