Mi ero riproposto di non tornare più sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia.
L’argomento, estremamente tecnico, sembrava fatto apposta per rimanere confinato nelle segrete stanze, lontano dal turbinare dell’opinione pubblica, rimasta in gran parte all’oscuro, e tutto sommato indifferente, nei confronti di un’operazione nata e cresciuta nel ristretto milieu dell’establishment.
Ma poi leggo che con tutta probabilità domani il consiglio dei ministri si occuperà della partita, a dimostrazione del fatto che quando si tratta di operazioni che interessano a lor signori, il governo riesce persino ad essere solerte.
Questo mi convince che vale la pena tornare ad occuparsene, visto che in tempi di generale inconcludenza l’aver messo in piedi e portato a termine un’operazione così complessa in poche settimane è di per sé una notizia.
Come dire: quando si vuole davvero, si può.
Il via libera alla rivalutazione delle quote doveva arrivare già nella seduta del consiglio dei ministri di giovedì.
La notizia era esplosa sulla prima pagina del Sole 24 ore, sempre di giovedì.
Ma poi i nostri governanti, durante il consiglio dei ministri, si sono resi conto che per decidere una cosa del genere bisognava aspettare che la casa madre di Bankitalia, ossia la Bce, esprimesse il suo nulla osta.
Da qui la decisione di attendere.
Poi però è arrivata un’altra notizia. Vale a dire che il CdM, oltre a far slittare il provvedimento su Bankitalia, ha fatto slittare anche quello sull’Imu, assai più atteso e “popolare”, visto che doveva statuire l’abolizione della seconda rata di dicembre che tutti aspettano come se fosse questione di vita o di morte.
Il collegamento è presto fatto. Non da me, ma dai nostri autorevoli governanti.
Prima il ministro De Girolamo e poi il premier Letta hanno assicurato (dando per scontato evidentemente il parere favorevole della Bce sulla rivalutazione) che martedì prossimo verranno approvati entrambi i provvedimenti. Nel senso che, per usare le parole della Di Girolamo riportate dall’Ansa, “il provvedimento sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia è contestuale a quello sull’Imu”.
Azzardo una traduzione: i soldi che recupereremo rivalutando le quote saranno usati per coprire l’impegno di spesa relativo al taglio della seconda rata Imu.
Tutto è bene quel che finisce bene allora?
Non credo.
Sempre leggendo Il Sole 24 Ore scopro infatti alcune cose.
Intanto che l’incasso stimato per il governo derivante dalla rivalutazione dovrebbe essere intorno a 1,2 miliardi, proprio quanto basterebbe a coprire il taglio Imu.
A tale cifra si arriva applicando l’aliquota sui capital gain che le banche dovranno allo Stato in virtù della rivalutazione delle di Bankitalia, che al momento campeggiano sui loro bilanci e valgono 156mila euro.
Di solito quest’aliquota è il 20%. Ma poiché a quanto pare le quote di Bankitalia diventeranno negoziabili, le banche potranno fruire (come peraltro avevano richiesto i nostri banchieri in sede di audizione parlamentare) dell’aliquota ridotta del 16% prevista dalla legge di stabilità per la rivalutazione degli asset delle imprese.
Pure lo sconto sul capital gain.
Se l’incasso per lo Stato sarà di 1,2 miliardi, significa che il capitale di Bankitalia verrà rivalutato a 7,5 miliardi, ossia sulla parte alta della forbice fissata dalla stessa Bankitalia in un documento reso pubblico solo pochi giorni fa, visto che il 16% di 7,5 miliardi fa, appunto, 1,2 miliardi.
Leggo sempre sul Sole 24 Ore che le banche potranno inoltre contabilizzare la rivalutazione già in sede di bilancio 2013. Il che le renderà assai più solide dal punto di vista patrimoniale, in vista anche dell’asset quality review lanciato il mese scorso dalla Bce nell’ambito dell’avvio del processo di supervisione bancaria.
Doppio colpo grosso.
Ma rendere negoziabili i titoli Bankitalia significa anche che dovrebbe essere operativo il tetto del 5% per ogni singolo azionista, di cui sempre il Sole 24 ore dà notizia, spiegando che nella norma che andrà in discussione domani dovrebbe essere prevista la possibilità per la Banca d’Italia di acquistare dalle banche la partecipazione eccedente il 5%. Ai nuovi prezzi rivalutati, immagino, “in attesa della creazione di un mercato delle quote”, scrivono i bene informati.
Faccio una certa fatica a immaginare chi possa essere interessato a comprare le quote di Bankitalia.
Ma poi mi ricordo di aver letto, nel documento predisposto dai saggi per Bankitalia, che ”qualora il capitale della Banca venisse aumentato a 6-7 miliardi di euro e considerando un tasso di dividendo del 6% (360-420 milioni in termini assoluti) il valore delle azioni dopo la riforma si collocherebbe all’interno dell’intervalo di 5-7,5 miliardi”.
Questo vuole dire che la rivalutazione delle quota incorpora un dividendo di oltre 400 milioni di euro l’anno per gli azionisti, a fronte dei 15.600 euro attuali.
In cambio gli azionisti dovrebbero rinunciare al diritto di prelevare una percentuale del frutto delle riserve, che, spiegano gli esperti, essendo derivanti dal signoraggio non è corretto vengano incamerate. Parliamo però di 70 milioni di euro (dato 2012).
In sostanza, gli azionisti rinunceranno a 70 milioni in cambio di oltre 400. Pagheranno un capitale gain di 1,2 miliardi che recupereranno in pochi anni, e aumenteranno i propri requisiti patrimoniali per la gioia della Bce.
Applauso.
Lo Stato per converso, che finora ha incamerato gran parte degli utili di Bankitalia (1,5 miliardi nel 2012) incasserà subito 1,2 miliardi, rinunciando a una quota corposa di utili per gli anni a venire, che andrà a vantaggio degli azionisti. A meno che, certo, non si ricompri le quote spendendo chissà quanto.
Doppio applauso.
E i cittadini? Felicissimi: non pagheranno l’Imu nel 2012.
Triplo applauso.
Però poi dovrano andare a coprire i minori dividendi incassati dallo Stato sugli utili di Bankitalia con le proprie tasse, per non parlare della possibile acquisizione delle quote.
In sostanza: oggi non pagano. Pagheranno domani.
Ma tanto domani è un altro giorno.
Intanto Pantalone ringrazia.