La strada per la grazia indicata da Giorgio Napolitano nella sua nota del 13 agosto scorso? Silvio Berlusconi ha seguito la direzione opposta. Ecco perché, secondo Vincenzo Lippolis, professore di Diritto comparato all’Università degli studi internazionali di Roma, membro della commissione di “saggi” sulle riforme del governo Letta e autore del libro “La Repubblica del Presidente” (Il Mulino, 2013) con Giulio M. Salerno, la grazia è un’ipotesi che si allontana sempre di più, un percorso diventato ormai impercorribile: “Il presidente Napolitano non ha cambiato idea – spiega Lippolis a Formiche.net – rimane ben fermo alla sua nota del 13 agosto in cui ha chiarito i paletti per poter prendere in considerazione questa ipotesi: l’accettazione della sentenza, l’inizio dell’espiazione della pena e la richiesta della stessa da parte dell’interessato o dei suoi congiunti. Tre elementi completamente disattesi dal leader di Forza Italia”.
Per Berlusconi, Napolitano avrebbe potuto concedere motu proprio la grazia…
C’è una possibilità prevista dal Codice di procedura penale che il capo dello Stato possa concedere di sua iniziativa il provvedimento ma la consuetudine e la prassi richiamate da Napolitano nella sua nota fanno sì che la procedura inizi con una domanda. In ogni caso, non c’è un passaggio automatico tra la richiesta o l’iniziativa del presidente e la concessione della grazia. L’iter disciplinato dalla legge 681 del codice di procedura penale prevede un’istruttoria presso il ministero di Giustizia prima della decisione finale del capo dello Stato. C’è poi una sentenza della Corte costituzionale del 2006 che circoscrive la concessione della grazia ad esigenze di natura umanitaria. Il numero di grazie concesse è nettamente diminuito negli ultimi anni grazie a istituti alternativi che attenuano il rigore della sanzione.
C’era una “disponibilità” da parte del capo dello Stato per un salvacondotto prima che Berlusconi optasse per la modalità “falco”?
Salvacondotto è un’espressione giornalistica impropria. Nel nostro ordinamento non esiste alcun salvacondotto, ci può essere la concessione della grazia seguendo determinate procedure, non rintracciabili nel comportamento di Berlusconi.
Nessun “colpo di Stato”, dunque, come accusa Berlusconi?
L’uso di certe espressioni rende la situazione politica incandescente. Mi pare si stiano seguendo dei principi giuridici precisi. C’è stata una sentenza della Cassazione che comporta conseguenze sia in base alla legge Severino, sia perché ad essa si collega l’interdizione dai pubblici uffici. Ci possono aspetti di dubbio interpretativo come sulla Severino stessa o nuovi elementi da valutare che potrebbero portare alla revisione del processo ma allo stato attuale non si può dire che si è andati in contrasto all’ordinamento giuridico. Parlare di “colpo di stato” è molto grave e bisogna avere le prove per dimostrarlo. È un’espressione che non trova fondamento sullo sfondo della vicenda.
C’è chi in Forza Italia ha letto le parole del capo dello Stato di domenica come un divieto a una libera manifestazione di dissenso, mercoledì davanti a Palazzo Grazioli.
Era solo un “pacato appello” affinché la manifestazione rimanga nell’ambito della legalità repubblicana sia per le modalità di svolgimento che per quanto verrà detto. Il presidente della Repubblica ha il dovere di vigilare sulla sicurezza del Paese. Del resto il fatto che Angelino Alfano e il Nuovo Centrodestra, pur dichiarando di votare contro la decadenza di Berlusconi, abbiano fatto sapere che non parteciperanno a una manifestazione dove si inneggia contro un fantomatico “colpo di stato” è molto indicativo.